Due parole sul paternalismo

Copertina del libro: in altre parole, dizionario minimo di diversità, di Fabrizio AcanforaA nessuna persona piace sentirsi dire cosa può o non può fare, come dovrebbe comportarsi o essere trattata come se non fosse in grado di badare a sé stessa.

Eppure durante la giornata ci capita spesso di essere oggetto di atti di paternalismo più o meno diretti e forti, e questo accade senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

Nell’immaginario collettivo il paternalismo si cela dietro a un consiglio dato con tono condiscendente dal capoufficio alla giovane dipendente, oppure nel sermone sui rischi delle droghe inflitto dal genitore al figlio scoperto a fumare erba. Teoricamente però il paternalismo è qualsiasi azione di una persona o di uno stato che, attribuendosi un’autorità, interviene nelle decisioni di un individuo nel suo proprio interesse.

L’elemento fondamentale, affinché si parli di paternalismo, è proprio quel “nel suo proprio interesse”, l’intento benevolo che giustifica l’invasione della nostra sfera privata, della capacità di decidere di noi stessi, della nostra vita e del modo in cui desideriamo essere rappresentati nel mondo. […]

Prima di andare avanti però è forse il caso di capire da dove viene questa idea, e quali radici ha questo concetto insidioso, che sembra avere ramificazioni in ogni più remoto angolo dell’esistenza umana.

Innanzitutto, è necessario un terreno fertile che ne permetta lo sviluppo, un ambiente in cui la società segua un modello patriarcale nel quale i ruoli di genere siano due e ben definiti, e soprattutto il ruolo maschile sia quello favorito tra i due. Una società in cui l’uomo abbia una posizione di maggiore autorità e autorevolezza è quindi il requisito minimo indispensabile per il trasferimento simbolico agli ambiti, che non siano quelli familiari, del ruolo di padre benevolo e autoritario che interferisce nella vita dei propri figli a fin di bene.

Nello specifico, il termine paternalismo cominciò a essere utilizzato per criticare l’applicazione di dinamiche patriarcali ai rapporti tra gruppi di persone che presentavano disuguaglianze, come tra sovrano e sudditi, datore di lavoro e impiegati, tra stato e cittadini e cittadine, tra padroni e schiavi. Venivano giudicati paternalistici i sovrani che benevolmente guidavano – come padri amorevoli, appunto – i propri sudditi limitandone di fatto la libertà, ovviamente per il loro bene. […]

Nella seconda metà del 1800 venne definito il concetto di ‘normalità’. Uno dei maggiori sostenitori di questo ideale fu Francis Galton, cugino di Charles Darwin e creatore dell’idea di eugenetica. Galton proveniva da una cultura che individuava nella biologia e non nell’educazione e nelle influenze sociali e ambientali le differenze tra le persone. Insieme ad altri intellettuali dell’epoca, come lo scrittore Thomas Carlyle, era convinto della superiorità dell’uomo sulla donna[1], della dimostrabilità scientifica del razzismo e della superiorità della razza bianca su tutte le altre.

In questo ambiente dagli elevati livelli di testosterone, nel 1849 Thomas Carlyle pubblicò un pamphlet intitolato Occasional Essay on the Negro Question nel quale la schiavitù era ritenuta una pratica socialmente accettabile e i neri descritti come subumani e “bestiame su due gambe[2]”. Carlyle ipotizzò tra l’altro che l’altissimo tasso di disoccupazione nelle colonie fosse dovuto alla natura fondamentalmente sfaccendata delle razze autoctone, e non il risultato delle politiche predatorie dei coloni. L’unico modo per rendere libere queste creature ritenute inferiori era quindi, paradossalmente, proprio attraverso la schiavitù, il lavoro forzato, che le avrebbe nobilitate distinguendole dalle bestie.

A questa visione si contrapponeva in modo diretto quella di economisti come John Stuart Mill, che criticando il saggio di Carlyle si scagliò contro la schiavitù, sostenendo come alcune differenze attribuite all’appartenenza a razze diverse fossero invece frutto di fattori sociali e culturali. Mill in particolare riprese le idee di un altro economista, Adam Smith, il quale sosteneva che gli esseri umani si differenziassero dagli altri animali per la capacità di cooperare, abilità che, diceva, necessita di due cose: linguaggio e rapporto di scambio[3]. […]

Le due correnti hanno dato vita col tempo a due distinte ideologie: da un lato i sostenitori della necessità di interventi paternalistici – oggi sempre più orientati verso un paternalismo soft, l’idea di nudge o spintarella gentile, che non proibisca ma invogli gentilmente determinate decisioni attraverso l’informazione – e il libertarismo, che rifiuta qualsiasi forma di interferenza di qualsivoglia autorità nella vita delle persone. Unica eccezione è quello che Mill definì come principio del “non nuocere” (‘harm principle’). In pratica, l’intrusione dell’autorità nella sfera privata è accettata col solo fine di evitare un danno ad altri individui.

Tutto questo, ovviamente, nella teoria. Ma nella pratica sappiamo che le cose non stanno proprio così, e che forme di paternalismo più o meno leggere sono ormai universalmente accettate. Se non fosse così, non esisterebbero stati e istituzioni e ogni cosa dovrebbe essere lasciata alla presunta razionalità dell’individuo […]

E ovviamente più andiamo avanti e più le cose si complicano. Viviamo in una società sempre più fluida in cui i rapporti tra le persone e le istituzioni si fanno di giorno in giorno più intricati, ma anche più deboli. Questa maggiore complessità delle interazioni umane, facilitata da mezzi tecnologici sempre più sofisticati e in grado di permettere una comunicazione immediata e su larga scala, rappresenta sotto molti aspetti una conquista enorme, ma contemporaneamente mette in crisi le modalità sociali che hanno modellato le nostre culture.

In questo amalgama di informazioni e relazioni l’individuo è sempre più centrale. La singola identità acquisisce una voce che fino a pochi anni fa non sarebbe stata nemmeno immaginabile e con sempre maggiore insistenza rivendica, guarda caso, proprio quel principio libertario di non ingerenza, la libertà di scegliere chi essere, come essere, come rappresentarsi nel mondo. […]

[Brano tratto dalla voce PATERNALISMO nel mio libro In altre parole, dizionario minimo di diversità, effequ, 2021, DISPONIBILE QUI]

NOTE:
[1] H. Ellis, Masculinity and Science in Britain, 1831–1918 (Genders and Sexualities in History), Palgrave Macmillan, Londra 2017.
[2] T. Carlyle, Occasional Essay on the Negro Question (1849), in «Fraser’s Magazine for Town and Country», Vol. XL, pp. 670–679.
[3] A. Smith, La ricchezza delle nazioni, Editori Riuniti, Roma 2020.

Leave a reply:

Your email address will not be published.

Site Footer