La diversità che ispira

Quando la diversità è narrata al pubblico esclusivamente attraverso lo sguardo della normalità, rischia di trasformarsi in qualcosa di grottesco, in un irreale e a volte surreale miscuglio di stereotipi e del più trito abilismo. Questo crea un’immagine che ispira pietà, dispiacere, sofferenza (non per niente molte persone “tipiche” dicono che “soffriamo” di autismo) o ha un effetto motivazionale, una specie di circo della diversità al quale assistere comodamente dagli spalti della normalità.

Spesso la persona diversa per caratteristiche fisiche, psichiche, neurologiche, culturali, per genere o per orientamento sessuale è utilizzata come fonte di ispirazione. “Se ce la fanno loro puoi farcela anche tu, che scusa hai per non provarci?” è uno dei messaggi che più spesso traspare dalla comunicazione sulla diversità, dall’esposizione rassicurante del diverso a conferma della propria normalità.

L’attivista australiana Stella Young ha definito quest’utilizzo della diversità (riferendosi in particolare alla disabilità) “inspiration porn”, una rappresentazione abilista di chi ha caratteristiche che differiscono dalla media. Spesso questo linguaggio mortificante è usato senza intenzione discriminatoria, col desiderio di dare alla diversità – percepita come una catastrofe per la persona diversa – un’immagine positiva. Ma il messaggio che invece riceve la persona diversa utilizzata come oggetto d’ispirazione è: essere chi sei non è sufficiente, se vuoi che il mondo ti accetti devi tirare fuori qualche superpotere!

La diversità allora diventa una battaglia da combattere, un ostacolo da superare, e il diverso un supereroe che riesce a raggiungere i propri obiettivi “nonostante” l’autismo, o l’impossibilità di camminare o di parlare. E questo voler descrivere la diversità come un atto eroico, oltre a ispirare le fortunate persone normali, solleva contemporaneamente la maggioranza da ogni responsabilità nei confronti di quelle barriere che rendono la vita di molte persone “diverse” un percorso a ostacoli. Barriere che sono messe sul percorso di chi è diversǝ proprio da quella normalità inconsapevole del vantaggio che possiede, che non è dato da un’oggettiva condizione di abilità, ma dal fatto di vivere in un mondo che è stato costruito a misura di persona “normale”.

Non siamo dis-abili. Ciascunǝ è abile secondo le proprie caratteristiche, e di differenze ne esistono tante quanti esseri umani ci sono sulla terra; ciò che rende disabile non sono le differenze, ma le barriere che la normalità alza contro qualsiasi deviazione dalla media. Questo non significa negare le difficoltà che alcune caratteristiche possono provocare di per sé, ma non riconoscere che esse possono essere espressione della variabilità umana vuol dire condannare quelle difficoltà alla dis-abilità, a una vita vissuta nel confronto con la presunta abilità degli altri, con questo marchio di inferiorità appiccicato addosso.

Bisogna però fare attenzione perché nessunǝ è realmente al sicuro. Tuttǝ abbiamo qualcosa che ci distingue dalla massa, e quelle differenze che oggi appaiono insignificanti solo perché non vi si presta attenzione, un giorno potrebbero diventare un marchio di esclusione e discriminazione.

Provate a guardare le cose per quelle che sono, chiedete a noi come preferiamo essere chiamatǝ, domandateci se ci sentiamo dei modelli per il semplice fatto di riuscire a lavorare o avere desideri come tuttǝ e provare a soddisfarli coi mezzi che ciascunǝ di noi ha. Perché è di questo che si tratta, non di “sfidare” la disabilità, questa è una idea vostra, vi piace e vi mette in pace col fatto che se a volte per noi raggiungere un obiettivo è difficile, è anche a causa di quegli ostacoli che lasciate sul cammino di chi ha caratteristiche diverse dalla media.

Con la fatica che sprecate a compatirci potreste rendere le cose più facili: invece di trattarci come marziani o poveracci, di compatirci o usarci come ispirazione dipingendoci come supereroi. Cambiate il modo di guardare alle differenze, smettete di affibbiare un valore a seconda della vicinanza a quell’idea di normalità che vi hanno spacciato come verità. Pensate che no, non siamo tuttǝ uguali, cioè sì, ma solo in quanto appartenenti alla specie Sapiens. Le differenze esistono, caratterizzano ciascunǝ di noi, e proprio per questo ogni persona deve avere le stesse opportunità, la stessa dignità, lo stesso diritto ad autorappresentarsi e autodeterminarsi di chiunque altra.

Nasciamo con determinate caratteristiche. Durante la nostra vita a volte ne acquisiamo di nuove, ma possiamo anche perderne. Sono caratteristiche, di per sé non hanno un valore, a meno che non gliene attribuiamo uno noi più o meno arbitrariamente. Non possiamo assegnare un valore maggiore a un ragno perché ha più zampe di noi, o a un pesce perché riesce a non soffocare sott’acqua. A questo punto un piccione che riesce a volare è meglio di un gatto, che non sa farlo.

Le caratteristiche di ciascunǝ sono semplicemente le caratteristiche di ciascunǝ, e quello stato percepito come “abilità” non è garantito per tutta la vita. Fermatevi un attimo e riflettete a tutte quelle abilità che oggi date per scontate ma che si possono perdere con l’avanzare dell’età, o con una malattia o a causa di un incidente. Quello di abilità non è solo un concetto artificiale ma è anche fragile, transitorio.

Ognunǝ deve poter provare a raggiungere e soddisfare le proprie aspirazioni e i propri desideri senza dover superare ostacoli inutili, senza doversi sentire oggetto di ammirazione per aver provato a soddisfare un desiderio, a raggiungere un obiettivo.

Se davvero volete aiutare le persone disabili, neuroatipiche o diverse in un qualsiasi aspetto della loro vita, allora provate a rendere il mondo un posto in cui ciascunǝ possa provarci. Non necessariamente riuscirci, ma almeno provarci.

NOTE
[1] https://www.youtube.com/watch?v=SxrS7-I_sMQ&feature=emb_logo

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