Le persone autistiche hanno un’aspettativa di vita inferiore rispetto alla media. Questo per vari motivi, uno dei quali è legato alla difficoltà nell’accesso ai servizi di cura della salute. Uno studio ha riportato i più frequenti ostacoli, tra cui: “decidere se i sintomi giustificano una visita dal medico di base (72%), difficoltà a prendere appuntamenti telefonici (62%), non sentirsi compresi (56%), difficoltà a comunicare con il medico (53%) e l’ambiente della sala d’attesa (51%). Gli adulti autistici hanno riportato una preferenza per la prenotazione online o tramite messaggio, la possibilità di inviare via email in anticipo il motivo della consultazione, poter avere il primo o l’ultimo appuntamento e un posto tranquillo in cui aspettare.”
La scorsa settimana avevo una visita specialistica in un ospedale di Barcellona, dove vivo, e come sempre la cosa ha cominciato a mettermi in ansia fino al punto di pensare che insomma, alla fine potevo anche rimandarla come già ho fatto tante volte, nonostante ci fossero voluti mesi per ottenerla. Il problema è che per me l’ospedale è davvero un posto infernale. Gli ospedali sono labirinti in cui mi perdo appena entrato, le sale d’attesa affollate con le luci fluorescenti che dopo qualche minuto mi mandano fuori di testa, l’odore di disinfettante che ti entra nel cervello, l’odore della gente, il rumore, i cellulari sempre a tutto volume e poi la visita, l’ansia di quando arriverà il mio turno, cosa dovrò fare, che dovrò dire? Parlare coi dottori è sempre un casino, cerca di guardare negli occhi così ti trattano meglio, prova a capire le domande: come ti senti, quanto ti fa male? boh, sempre così vaghe, e poi il panico del contatto fisico, le mani addosso.
Non è semplice ansia, è qualcosa di indescrivibile, è la sensazione di essere tornato un bambino di 5 anni, il panico di essere lì da solo, sentirmi completamente vulnerabile, bloccato, paralizzato in una matassa di paura, ansia, rassegnazione e desiderio di protezione e alla fine è normale che tante persone autistiche non ci vanno, dal medico.
Eppure, la scorsa settimana è stato diverso, e poiché la cosa mi ha sorpreso voglio raccontarvi di come sia possibile migliorare l’accessibilità alla cura della salute di tutte le persone – non solo autistiche – e di quanto poco sforzo una cosa del genere possa richiedere.
La prima sorpresa è stata la comunicazione via SMS ricevuta alcuni giorni prima in cui, con linguaggio estremamente semplice e chiaro, mi veniva ricordato il giorno, l’orario e il luogo della visita. Nel messaggio c’era un link con alcune raccomandazioni, che mi ha portato a una pagina strutturata anch’essa in modo chiaro, con informazioni separate in blocchi di testo facilmente identificabili, caratteri ad alta leggibilità e un vocabolario semplice e diretto, senza ambiguità.
Seguendo un ordine cronologico, sulla pagina viene spiegato per prima cosa come registrare l’arrivo e ricevere il numero per il turno. C’è una fotografia delle macchinette poste nell’atrio con una spiegazione di tutto il processo, dall’introduzione della tessera sanitaria al ricevimento del numero. Più sotto, c’è una foto che mostra la sala d’attesa con altre spiegazioni, cosa fare quando appare il proprio numero sullo schermo. Poi ci sono indicazioni per gli accompagnatori, e su come muoversi all’interno del complesso ospedaliero, con la possibilità di scaricare percorso e orari del bus interno.
Nei giorni successivi ho letto le istruzioni più volte, mi sono creato un percorso mentale, ho iniziato ad anticipare quello che avrei visto, la strada che avrei percorso, l’uso delle macchinette, la sala d’attesa. E l’ansia anticipatoria è stata di molto inferiore al solito. Finalmente è arrivato il giorno della visita. Una volta giunto all’ospedale, dopo aver preso il bigliettino col numero alla macchinetta senza intoppi, sono andato al bancone all’ingresso, ho domandato per il reparto e mi è stato mostrato un percorso di linee colorate sul pavimento. Segui la linea arancione, la sala d’attesa è esattamente alla fine, mi ha detto sorridendo l’infermiera. Seguo la linea arancione senza staccare gli occhi da terra, arrivo nella grande sala d’attesa affollata. Sui monitor i numeri delle chiamate, come anticipato dal messaggio, tutto bene. Dopo un minuto mi chiamano, un’infermiera mi accompagna alla stanza dove mi attendeva il medico.
Appena seduto spiego che ho una diagnosi di autismo, il medico annuisce e mi anticipa come si sarebbe svolta la visita, ponendomi domande chiare, precise, aiutandomi con degli esempi quando ero in difficoltà. Il contatto fisico è stato preparato con sensibilità e sempre chiedendo il permesso.
Mi ha colpito vedere messi in pratica tutti quegli accorgimenti che in tante e tanti raccomandiamo alle strutture pubbliche, alle aziende e alle organizzazioni. Ogni volta che parlo di accessibilità cognitiva o sensoriale a un corso o a un convegno, ogni volta che suggerisco di usare un linguaggio semplice anche nella struttura e nel vocabolario, quando parlo dell’importanza dell’anticipazione e della preparazione, di usare fotografie per mostrare in anticipo luoghi e percorsi, ho la sensazione che stia parlando di cose astratte e che dall’altra parte certi suggerimenti vengano presi quasi come capricci. Perché quando si parla di accessibilità motoria, ad esempio, le barriere architettoniche le vedi lì, ma le barriere cognitive, sensoriali, comunicative, spesso non sono così immediate da notare.
Eppure, la scorsa settimana ho avuto un’ulteriore conferma di quanto non sia così difficile creare una società accessibile. Basta cominciare a farlo, basta non pensare che si tratti di un regalo, di una concessione ma di un diritto. Ma, soprattutto, ho avuto conferma di quanto l’accessibilità possa essere pensata in modo universale e rappresentare un beneficio per il maggior numero di persone possibile. E, ricordiamo sempre, senza accessibilità non può esistere inclusione. Partiamo dalle basi, partiamo dal garantire i servizi essenziali a tutte le persone.