La differenza tra educazione e spersonalizzazione

Cresci con l’idea fissa che devi cambiare, perché fin da bambino ti passano addosso come rulli compressori dicendoti che un’infinità di comportamenti, per te completamente naturali, sono sbagliati, strani, perché questo o quello non lo fa nessuno tranne te. Lo fanno notare in ogni modo, e alla fine non hai altra possibilità che piegarti, indossare la maledetta maschera, essere quello che non sarai mai veramente. Questa cosa non ha nulla a che vedere con l’educazione ma allo stesso tempo anche sì, nel senso che il principio è lo stesso: far sì che il bambino si conformi alle leggi anche non scritte che regolano la convivenza sociale, ma l’applicabilità è differente.

Quando il bimbo è autistico bisogna sapere fino a che punto spingere, bisogna capire dove finisce il normale processo educativo e dove inizia l’abuso, la spersonalizzazione di un individuo che determinate cose non può metterle in pratica in quanto fisicamente (il sistema nervoso fa parte del nostro corpo) differente.

Quando sei autistico, determinate cose non è che tu non voglia farle, è che proprio non le capisci, o non comprendi il motivo per cui dovresti farle. Come per un neurotipico è innaturale e insopportabile l’astinenza dal contatto fisico e dalla vita sociale imposta come misura restrittiva contro il coronavirus: niente abbracci, strette di mano e bacetti nel salutarsi, scuole chiuse, manifestazioni proibite, niente socialità. E infatti è così innaturale per i neurotipici che alcuni fuggono da un isolamento imposto dall’alto.

Quando sei autistico la socializzazione deve necessariamente passare attraverso alcuni filtri altrimenti esplodi, e questa non è maleducazione, è avere uno sviluppo del sistema nervoso differente.

Il limite tra educare e voler cambiare la natura di una persona sta nel comprendere questa realtà. Si può educare qualcuno a gestire le proprie necessità che differiscono dalla maggioranza in modo corretto (secondo le regole neurotipiche), ad esempio declinando inviti con gentilezza, cercando di non offendere la sensibilità degli altri, nei limiti delle proprie possibilità.

Allo stesso modo, però, si potrebbero educare i neurotipici a non ferire, escludere o far sentire in colpa chi è diverso da loro. Il percorso educativo (quando parliamo di educazione e non di modificare con la forza la natura di un individuo, che è intollerabile) deve necessariamente includere le due parti, altrimenti saremo sempre noi autistici quelli da dover sopportare con un’alzata di sguardo perché abbiamo sbroccato di nuovo o perché, accidenti, ogni volta che andiamo al centro commerciale la stessa commedia.

Educare i neurotipici alla normalità della diversità è fondamentale anche per loro. Se la maggioranza fosse educata a guardare alla diversità in termini di differenti necessità, ossia mettere chiunque in condizione di avere una vita soddisfacente, probabilmente accetterebbe anche le differenze che esistono nel suo interno. Perché il fatto di essere neurotipico non vuol dire che uno poi sia uguale agli altri sotto tutti gli aspetti, come l’essere eterosessuale non garantisce la neurotipicità, o essere destrimano non significa che non si possa essere albini.

Questa riflessione anche piuttosto banale è nata perché ieri sera a cena, mentre ero convinto di stare utilizzando il mio solito tono di voce molto basso, a volte troppo, mi è arrivato uno: «stai urlando, non te ne sei accorto, vero?». No, non me ne ero accorto, come non mi accorgo di tante cose che agli altri possono apparire strane o fuori luogo. Ma è stato bello ricevere un avviso neutrale, perché in quelle parole non c’era un giudizio negativo o un tono infastidito, semplicemente una constatazione.

Allo stesso modo, quando sul lavoro chiedo scusa ed esco un attimo durante una riunione, i colleghi sanno che potrebbe essere bisogno di disconnettere per qualche minuto causato da sovraccarico sensoriale o cognitivo, e ne approfittano per prendere un caffè.

Spesso mi è stato detto che sono fortunato, perché vivo in un ambiente in cui sono compreso, addirittura viziato, ma questa comprensione è arrivata solo dopo aver spiegato come stanno le cose nella realtà, ossia che certi comportamenti non sono capricci ma necessità, che le differenze sono reali e, anche quelle, non sono capricci. Dopo una vita in cui l’educazione che io ho ricevuto è stata finalizzata a modificare la mia essenza, una volta compreso che la mia natura è differente, ho cominciato io a educare tutti quelli con cui ho rapporti. Educare alla diversità, al non giudicare le differenze ma a constatarle.

Parlo con cognizione di causa, bisogna fare molta attenzione alla sottile differenza tra l’educazione, che è giusta e necessaria ovviamente anche per i neuroatipici, e il desiderio di normalizzare le differenze distruggendo l’individualità, spersonalizzando, mortificando, giudicando negativamente, escludendo.

VOCABOLARIO TRECCANI:
“spersonaliżżare – 1. Privare della personalità, rendere privo o carente di personalità: la società di massa spersonalizza l’individuo; anche assol.: una società, una cultura che spersonalizza. Come intr. pron., spersonalizzarsi, perdere la propria personalità, la propria identità sociale, culturale e sim.: talvolta gli artisti si spersonalizzano nell’adesione a un’ideologia. 2. Per estens., rendere banale e anonimo”

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