Il valore del nostro tempo

La foto di una persona di spalle, seduta su un pontile di legno che si protende nell'acqua, mentre osservale montagne dall'altra parte del lago, di fronte

Non avere tempo per riposare perché tra il lavoro e le presentazioni dei libri e gli articoli da inviare e le conferenze proprio non c’è, il tempo, io la vivo come una sconfitta, non un motivo di orgoglio o di realizzazione personale.

Credo sia una sconfitta tanto personale quanto sociale dover fare due lavori perché quella che fin da bambino è la mia grande passione, la scrittura, mi dà tante soddisfazioni ma non mi permette di pagarmi l’affitto, e allora serve un lavoro “vero”.

Vedo la gente intorno a me ostentare con orgoglio calendari di google che sembrano partite di Tetris finite male e penso al mio, di calendario, e anche lì io tutta questa soddisfazione per non avere un attimo di tempo per stare con me stesso, non riesco a provarla. Siamo schiavi di una narrazione tossica che premia chi rinuncia al proprio tempo, chi mette il lavoro al primo posto, chi polverizza i confini tra vita privata e professionale.

Crediamo al racconto che l’unica maniera di realizzarsi debba passare attraverso il lavoro; ci hanno detto che è una giungla, un tutti contro tutti, che vince il più forte – narrazione figlia del più becero darwinismo sociale – e allora tutti a cercare di apparire impegnati, produttivi, perché altrimenti sei fuori, non vali nulla, sei una sfaticata e allora vedi che te la meriti la povertà e le difficoltà per arrivare alla fine del mese? Insomma, volere è potere, sai, c’è quel tizio che ha iniziato in un garage e quell’altro che consegnava i giornali porta a porta e adesso hanno un impero.

Peccato che la favoletta del “se vuoi puoi” serva solo a creare più competitività, maggiore disponibilità a lavorare ore extra. Insomma, competere al ribasso in un mercato del lavoro sempre più “flessibile” (che significa precario) genera competitività, abbassa le aspettative, distrugge potere contrattuale e in compenso ti regala frustrazione, insoddisfazione, repulsione per il tuo lavoro, come emerge dall’ultimo sondaggio Gallup, che mostra come l’85% delle lavoratrici e dei lavoratori globalmente detesti il proprio impiego o sia insoddisfatto, percentuale che in Italia arriva al 95%.

Non è figo non avere il tempo di stenderti sul divano con un libro, o semplicemente di fissare il vuoto senza sensi di colpa, oppure di fare una passeggiata priva di una meta. Non ti rende una persona migliore non avere il tempo di respirare. E non ti rende peggiore dedicare del tempo a te stessa, a te stesso, cercare di trovare soddisfazione in quello che fai, qualsiasi cosa sia, desiderare che il lavoro venga retribuito equamente, provare a decostruire questa narrazione distorta che stabilisce un prezzo per il tuo tempo a prescindere dal reale valore di ciò che fai.

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