Più passa il tempo, più osservo me stesso e altri autistici e autistiche, i nostri comportamenti e le reazioni che abbiamo al mondo circostante, più mi convinco che nella maggior parte dei casi quei deficit che un modello puramente medico della diversità ci vuole affibbiare sono in realtà differenze.
Ultimamente ho ricevuto diverse domande che riguardavano un aspetto particolare della sensorialità autistica, quell’aspetto paradossale per cui molti di noi siamo capaci di sopportare il freddo intenso o il dolore senza nemmeno accorgercene però entriamo in crisi se la nostra pelle entra in contatto con un tessuto che percepiamo estremamente fastidioso. Oppure possiamo rimanere con le cuffie ad ascoltare musica a tutto volume per ore, o a suonare uno strumento musicale e poi entrare in sovraccarico sensoriale per la musica dei vicini o le voci al centro commerciale.
Io, ad esempio, ricordo perfettamente la sensazione di avere la pelle ricoperta di spilli acuminati quando mia madre mi costringeva a indossare biancheria di lana in inverno. Per me era atroce, gridavo, mi grattavo provocandomi bolle e a volte ferite, arrivai a inventarmi l’allergia alla lana pur di trovare una spiegazione per quella tortura. E la stessa cosa accadeva e accade ancora per le etichette dei vestiti, che devono essere tagliate via accuratamente e in modo da non lasciare nemmeno un poco di quel tessuto ruvido che sulla pelle ha l’effetto di una raspa, o le cuciture dei calzini.
Lo ricordo benissimo, andare in giro per casa scalzo anche in inverno perché quella sensazione di costrizione delle scarpe, dei calzini con le loro cuciture maledette. E gli abbracci, che mi mandano nel panico quando mi arrivano a tradimento, o il fastidio di essere toccato, le pacche sulla spalla o quei pizzicotti sulle guance quando ero bambino per cui avrei potuto uccidere.
Eppure, in camera mia fin da ragazzino il riscaldamento non si accendeva nemmeno a gennaio, e la finestra era sempre aperta perché sentivo il bisogno di far entrare aria fresca, pulita, non sopportavo l’odore di chiuso. Il freddo non mi ha mai dato alcun fastidio, anzi, spesso non me ne rendo conto e rischio di prendermi un raffreddore per andare in giro con vestiti troppo leggeri.
E la stessa cosa è sempre accaduta con l’udito, il senso in cui sono forse più suscettibile. Il paradosso sensoriale avviene anche in questo caso, adoro il rumore ipnotico di alcuni apparecchi: ventilatori, stufette, aspirapolvere, qualsiasi cosa produca un suono costante che mi isoli dal resto del mondo per me è rilassante. E poi la musica! Suono il pianoforte fin da bambino, e quando studiavo in conservatorio prima degli esami ero capace di rimanere seduto allo strumento anche per otto ore di fila senza alcun problema. Eppure se i vicini del piano di sopra parlano a voce alta o camminano con delle scarpe dalla suola rigida, se qualcuno nel vicinato attacca con la musica o parla al telefono sul balcone, posso impazzire. Vado in crisi in metropolitana, dove il brusio delle voci diventa una marmellata di suoni attraverso la quale riesco a distinguere brandelli di discorsi, tutti insieme, contemporaneamente. E la musica che filtra dagli auricolari della ragazza a due metri da me riesco a sentirla nonostante il casino. L’uomo che parla al cellulare, anche la sua voce spicca sulle altre, e allora sento la tensione aumentare fino quasi a esplodere.
È paradossale, ed è per questo che molte volte noi autistici ci sentiamo dire che stiamo fingendo, che sono solo capricci. Perché da fuori appare impossibile che tu non avverta minimamente il dolore delle unghie conficcate sul palmo della mano fino a sanguinare mentre stringi il pugno e poi salti se qualcuno ti sfiora o senti gli spilli addosso se indossi una maglietta di lana. È paradossale rimanere tutto il giorno al pianoforte o riuscire a dormire solo se il ventilatore è acceso e poi dare di matto se i vicini del piano di sopra chiacchierano tranquillamente in terrazza.
È una sensazione spesso frustrante, perché effettivamente certe cose abbiamo l’impressione di percepirle solo noi. Quando riesci a sentire una persona che mastica rumorosamente seduta a dieci metri da te in un ristorante affollato e per quel motivo devi uscire immediatamente oppure avrai un meltdown di quelli col botto, diventa difficile vivere come fanno tutti gli altri. O quando sei costretto a prendere la metropolitana perché piove e hai un appuntamento importante ma, appena entrato, devi saltare fuori immediatamente perché qualcuno ha mangiato aglio e quell’odore ti nausea in modo indescrivibile, anche quello ti pone ostacoli spesso imprevisti.
Più passa il tempo, e più però mi convinco che molto spesso questo paradosso abbia a che fare con il controllo. Quando siamo noi in controllo di uno stimolo sensoriale in molti casi (non sempre) riusciamo a sopportarlo e a volte non ci disturba affatto. Un po’ come A., il ragazzino autistico di 11 anni che veniva all’istituto a fare musicoterapia e appena entrava correva a sedersi alla batteria, ma che al centro commerciale si tappava le orecchie e cominciava a sbroccare per il rumore che non sopportava.
Quando siamo in controllo di uno stimolo a volte riusciamo a gestirlo e, almeno quello stimolo specifico, non ci dà problemi. E forse ha senso. Provate a immaginare come sarebbe vivere in un mondo in cui la maggioranza delle persone appare come anestetizzata agli stimoli sensoriali, sembra non provare alcun fastidio al bar con quella musica che invece a voi trapana i timpani. È facile avere la sensazione di non essere in controllo di quello che accade, sentirsi spaesati, nervosi. E la frustrazione genera altra frustrazione, il nervosismo aumenta e fa perdere ancora di più il controllo fino a che non siamo completamente in balia di quegli stimoli, dei nostri sensi che non hanno filtri.
Tempo fa scrissi alcuni articoli sulle funzioni esecutive (li trovate qui, qui, qui, qui e qui) in cui spiegavo, appoggiandomi ad alcuni studi molto interessanti, come esse funzionassero meglio quando l’attenzione è attirata da un oggetto o un compito, come negli interessi speciali. È un altro paradosso apparente, questo. Spesso sembriamo distratti, incapaci di seguire un discorso anche semplice, l’attenzione non dura più di due secondi e la memoria a breve termine è una barzelletta. Eppure quando siamo immersi nei nostri interessi non avvertiremmo nemmeno una bomba a mano esploderci accanto.
Forse tutte queste cose sono collegate, l’attenzione, la memoria a breve termine, la capacità di iniziare un’azione, queste funzioni esecutive migliorano incredibilmente quando siamo catturati da qualcosa che ci interessa, e magari quella stessa attenzione ci permette di focalizzarci su uno stimolo che in quel momento abbiamo scelto di produrre o di lasciare entrare noi, come la musica o il rumore del ventilatore, o il dolore delle unghie sulla pelle o il freddo oppure un abbraccio. Già, perché anche gli abbracci molte volte fanno parte del paradosso: quando arrivano a tradimento fuggiamo, ma se ne vogliamo uno dev’essere forte, stretto.
Forse bisognerebbe riflettere su questa possibilità prima di giudicare semplicemente deficitari i nostri sensi. Chi lo sa, magari questa riflessione potrebbe essere utile anche nel calibrare il modo di interagire con noi autistici, soprattutto con coloro i quali non si esprimono verbalmente o non comunicano in nessun modo.
Sicuramente può essere utile rendersi conto di questo paradosso per evitare di confondere un differente funzionamento con dei semplici capricci. Perché spesso alle difficoltà che il nostro funzionamento atipico può provocarci quando entriamo in contatto con un mondo progettato per neurotipici, si aggiunge anche la frustrazione di sentirsi incompresi, di vedere le nostre difficoltà minimizzate. Domandiamoci sempre il perché delle cose, non diamo mai nulla per scontato.