Il linguaggio dell’inclusione

La mia mente crea costantemente collegamenti tra le cose, gli eventi, le parole. E nota discrepanze. Quelle mi saltano all’occhio da sole, urlano per essere notate e spesso sembrano meravigliate perché nessuno se le fila. Le discrepanze, le incongruenze; l’incoerenza di certi comportamenti che si contraddicono, di pensieri completamente opposti che riescono a convivere nella stessa persona senza che questa avverta alcun disagio.

Due giorni fa ha fatto notizia la vicenda triste di un gruppo di ragazzi autistici, insieme ai loro accompagnatori, a cui è stato impedito di sedersi a fare colazione a un autogrill. Purtroppo essere diversi dalla maggioranza continua a essere ancora motivo ingiustificato di esclusione sociale.

Brutta storia, davvero. Certe cose fanno capire quanto ancora siamo lontani da quell’inclusione per la quale in tanti ci battiamo quotidianamente, quanto la gente veda ancora le differenze come una minaccia, un difetto da nascondere, da tenere lontano.

Eppure in questa storia triste c’è qualcosa che stride, e mi riferisco alle tante, troppe reazioni che ho letto ai vari post in cui veniva denunciato l’accaduto. C’era, in alcuni commenti, tanto odio. Comprensibile, ma per come la vedo io non giustificabile.

Mi riferisco ai messaggi di chi, capitato per caso su un post qualsiasi in cui veniva denunciato l’accaduto, si è lasciato andare a pensieri verbalmente violenti nei confronti della persona che ha discriminato quei ragazzi. Come si può parlare di inclusione, com’è possibile chiedere il sacrosanto rispetto per la diversità a botte di insulti? E me lo domando io che, da autistico, ho provato un dispiacere enorme leggendo la notizia e mi sono sentito ribollire il sangue nelle vene. Io, che di quella categoria di persone a volte indesiderate ne faccio parte.

Scrivo spesso di quanto il linguaggio che utilizziamo contribuisca a modellare il nostro pensiero, il mondo in cui viviamo, e mi domando come possiamo chiedere rispetto, inclusione, comprensione, usando un linguaggio così aggressivo e carico di odio.

Per carità, comprendo la frustrazione e la stanchezza di chi certe cose le vive quotidianamente in prima persona da escluso, o da genitore di un figlio autistico. Ma certi commenti sono stati scritti da gente che probabilmente con questa frustrazione, con il dolore di vedere i propri figli esclusi non ha nulla a che fare perché non lo ha mai sperimentato. Perché, lo ripeto, la maggior parte di quei commenti erano si persone capitate su quei post di denuncia per puro caso, che si proclamano giuste a parole e poi inquinano il linguaggio dell’inclusione col loro odio solo perché ormai siamo abituati a dover dire la nostra su tutto, dobbiamo commentare ogni avvenimento anche quando potremmo stare in silenzio e cercare di contribuire in modo più efficace a creare un mondo migliore, senza violenza, senza discriminazione.

Siamo sicuri che questa sia la strada giusta per aiutare la nostra società a diventare inclusiva nei confronti delle differenze? Crediamo davvero che abbassarci al livello di chi ha commesso un’azione così deplorevole sia il modo migliore di educare alla comprensione della diversità?

Io no. Io credo che se vogliamo contribuire a creare una cultura in cui le differenze convivano una accanto all’altra con pari dignità dobbiamo per primi dare il buon esempio. Rispondere a comportamenti come quello della persona che ha impedito ai ragazzi autistici di fare colazione all’autogrill mostrando la nostra indignazione è sacrosanto, ma va fatto in modo costruttivo. Perché altrimenti non cambierà mai nulla, altrimenti i semi di quella cultura aperta alla diversità per cui tanto ci battiamo continueranno a giacere su un terreno avvelenato dall’incapacità di discutere in modo civile.

La vera inclusione è possibile esclusivamente a patto che si fondi su una società in grado di dialogare, di ascoltare e comprendere, di educare alla convivenza. E il modo in cui esprimiamo le nostre idee, anche la nostra indignazione, dev’essere coerente con questo obiettivo.

Sono davvero triste per l’episodio dell’autogrill, ma lo sono anche per il modo in cui troppe persone, probabilmente senza nemmeno rendersene conto, continuino a dinamitare un discorso così fragile e delicato come quello sull’inclusione con un atteggiamento giustizialista e verbalmente violento.

Per quanto mi riguarda, pur condannando fermamente episodi come quello accaduto all’autogrill, continuerò a fare il possibile affinché il cambiamento culturale verso la convivenza delle differenze sia profondo e passi prima di tutto attraverso l’uso di un linguaggio che escluda la violenza e la sete di giustizia sommaria.

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