Meltdown e l’importanza della diagnosi nell’autismo

Ieri sono riuscito a scansarne uno di quelli grossi. Fino a pochi anni fa non sapevo che quelle crisi così violente, quelle esplosioni che lasciano me senza forze e chi mi sta vicino a contemplare inerme le macerie, fossero la conseguenza di un sovraccarico del mio sistema nervoso, dell’autismo. Non lo sapevo e non riuscivo a prevenirle, potevo solo subirle, le crisi, quando arrivavano.

Ora ho imparato ad accorgermene in anticipo, i segnali ci sono e se si osserva con attenzione si possono riconoscere. Ieri sera, quando ho capito che stavo per esplodere, sono andato a dormire da solo, nello studio, con la musica nelle cuffie. Musica triste, tristissima, musica che ti fa arrivare le lacrime agli occhi anche se sei felice. E a poco a poco tutto si è sciolto, senza esplosione, semplicemente lasciando andare la pressione con la musica e le lacrime.

Io, una descrizione di cosa accade durante un meltdown, una di queste crisi che troppo spesso vengono confuse con dei capricci o scatti d’ira, l’ho già data nel mio libro, e non riesco a trovarne una migliore. Ve la lascio qui di seguito, perché penso che sia importante non sottovalutare le differenze tra qualcosa che non si può controllare e un semplice capriccio. E perché quando le cose si conoscono, ogni tanto si riesce anche a controllarle.

“Ogni volta che si scatena una crisi è così, la senti giungere da lontano, ma il problema è che quando ne avverti la vicinanza è già troppo tardi. Come fai a fermare un temporale di quelle dimensioni se al massimo hai un ombrellino pieghevole? Non lo fermi, è inutile anche scappare tanto ti trova. Aspetti, guardi il cielo farsi scuro, carico di nuvole nere e basse, paffute come zucchero filato venuto dall’inferno.

E poi cominciano i tuoni, rispondi male a chi ti sta davanti, diventi irascibile, teso; e i tuoni aumentano, e coi tuoni i lampi, che squarciano quel cielo nero e fanno i buchi per terra, bruciano gli alberi. Allora inizi a sbraitare, a sbattere i pugni sul tavolo e a prendere a calci la porta, la sedia. Scagli la forchetta nel lavello e lo ammacchi, ma in quel momento anche se lo sai, che stai esplodendo, non puoi fermarti: su di te non hai alcun controllo. Il temporale, quando arriva, bisogna lasciarlo sfogare.

Poi, finalmente, la pioggia: un diluvio; c’è vento, dondolano gli alberi avanti e indietro, ritmici, avanti e indietro. E ti ritrovi a piangere come un disperato, come se ti avessero strappato l’anima, il cuore e gli occhi. Piangi come un bambino, sempre allo stesso modo anche se hai quarant’anni. Quando comincia a piovere tra te e quel bimbo biondo che singhiozzava in preda alle convulsioni senza sapere il perché, non c’è alcuna differenza. […]

E tu lo sai, che il temporale poi finisce all’improvviso, che così com’è arrivato se ne va. Il vento si ferma e smetti di dondolare, la pioggia non cade più, gli occhi si asciugano e col sole che riaccende il celo di azzurro, torni a sorridere. Come se non fosse successo niente, sei solo un po’ stanco. Stanco, ma sereno. […]

Ieri sera però è stato diverso perché non era colpa tua, ormai non lo è più. Non eri tu, non era il tuo carattere di merda, come ti hanno sempre detto tutti, o la rabbia per qualcosa andata storta. Non c’era un motivo apparente, nessuna scusa, era così e basta. Come ogni volta, d’altra parte. Però stavolta con un nome. Crisi. Meltdown.

Sì, crisi. Perché due giorni prima hai avuto un incontro stancante all’università e poi la mattina dopo a pranzo da Lucilla parlavano tutti insieme, non capivi più niente. I sensi si impastavano e sembrava che solo tu non riuscissi a districare quella matassa ingarbugliata di parole che ormai prive di senso colavano dalle loro bocche. Voglio andare a casa, pensavi, lo ricordi? E le luci, anche quelle sembravano abbagliare ogni cosa all’improvviso.

Voglio andare a casa.

E a casa quella discussione, stupida tutto sommato, per una sciocchezza, come sempre. Perché a scatenare il temporale, a far partire la crisi, basta una miccia anche corta, insignificante. È la quantità di tritolo che hai accumulato dentro per giorni, l’ansia di dover parlare alla direttrice all’università, l’angoscia di tutte quelle voci insieme, le luci, il telefono che squilla e il bambino che grida di sotto. I sensi sempre vigili, senza filtri accumulano ogni cosa riempiendo ogni angolino libero e la pressione aumenta. Allora anche una cazzata fa accendere la miccia. E scoppia la bomba, il temporale, parte la crisi. Meltdown.”

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