Guardate questo video, ascoltate o leggete attentamente le parole di Georgia. Per chi non avesse familiarità con l’inglese, ho tradotto quello che dice perché trovo che riassuma concetti fondamentali come l’importanza dell’autorappresentanza, la necessità di potersi creare un’identità anche ritrovandosi in altri individui, soprattutto per chi ha caratteristiche che differiscono dalla maggioranza; il senso di orgoglio che può giustamente scaturire da questa identità.
Di seguito la traduzione:
Mi chiamo Georgia. Sono unǝ queer tatuatǝ di 30 anni, stereotipatǝ e un po’ pretenziosǝ, e vivo nella zona ovest di Sidney con il mio levriero, Sophie.
Ho una paralisi cerebrale emiplegica del lato destro.
Il mio cervello ha subito un danno alla nascita e, di conseguenza, i messaggi che vanno dal cervello ai muscoli si confondono lungo il percorso.
Tutti i miei muscoli sono molto eccitabili, quindi spesso si muovono contemporaneamente.
Uso questa cosa chiamata Lightwriter per comunicare con gli estranei e con la gente. È fondamentalmente come una macchina da scrivere elettronica. È molto semplice. Io scrivo e lei parla.
Ma in genere con la famiglia e gli amici uso l’alfabeto manuale perché mi piace il contatto visivo che consente e i giochi di indovinelli divertenti che genera.
Mi identifico essenzialmente come lesbica e genderfluid, o ambivalente.
Ma in genere non mi importa come mi etichettano gli altri perché so chi sono e alla fine nessuno può decidere le etichette che definiscono la mia identità, tranne me.
Sono statǝ definitǝ “aggressivamente gay” in alcune occasioni, perché “gay” è l’unico termine che sento descrive accuratamente come mi sento e chi sono.
I miei genitori sono fantastici, sono incredibilmente fortunatǝ per quanto amore, accettazione e supporto mi dimostrano ogni giorno.
Mi definisco un prodotto dell’intelligenza emotiva di mia madre e del senso dell’umorismo e della capacità di mio padre di aggiustare le cose rotte.
Loro hanno una mentalità piuttosto aperta e poco ortodossa, quindi quando ho dichiarato di essere gay a 16 anni, non è stato un grosso problema.
In realtà mi piace dire che il mio corpo è la cosa più anticonvenzionale e queer di me, perché per il resto sono davvero noiosǝ e ordinariǝ.
Il mio corpo, tuttavia, sfida fondamentalmente le convinzioni che la gente ha di cosa significhi essere una persona ed esistere in questo mondo. Ho imparato a trarne forza e orgoglio.
È abbastanza liberatorio non provare nemmeno a conformarsi, ed è piuttosto divertente mettere le persone a disagio e sfidare i loro preconcetti, e non preoccuparsi affatto di ciò che pensano.
Sento che la narrazione sociale delle persone con disabilità è ancora quella della pietà, o del trionfo, quando in realtà siamo solo persone che cercano di sopravvivere.
La mia identità queer non viene nemmeno considerata nella percezione mainstream di chi sono.
Anche negli ambienti queer sono statǝ insultatǝ e spesso incontro discriminazioni.
Altri pensano di poter parlare per me, e di me, ma non a me, solo perché sono disabile.
Si sentono spesso nei media tutte queste persone abili parlare a nome della comunità disabile.
Anche se questo sta lentamente cambiando, abbiamo ancora molta strada da fare.
È interessante perché crescendo, e anche quando ho iniziato ad andare nei bar, non ho mai visto un’altra persona queer con una disabilità, mi sentivo come se fossi un’anomalia.
È stato solo all’università che ho cominciato a trovarne altre.
Unǝ miǝ carǝ amicǝ, anche lǝi queer, scoprì di avere una disabilità degenerativa.
Non so perché, ma da quel momento, all’improvviso sembrava che di noi ce ne fosse un certo numero.
C’è sempre un bel conforto e una rara solidarietà nell’uscire con altrǝ queer disabili.
In realtà, alcuni dei miei momenti preferiti sono stare sedutǝ a letto con alcunǝ di loro, ridendo delle sciocche percezioni del mondo degli Abili e di quanto ignorante sia la maggior parte delle persone.
Noi convalidiamo [vicendevolmente] il nostro diverso modo di esistere, perché comprendiamo intimamente le esperienze reciproche.
Faccio un sacco di cose; scrivo, tengo conferenze e tengo workshop sulla comunicazione accessibile e sulla politica identitaria della disabilità, e faccio arte, principalmente video e performance.
Ho inevitabilmente dedicato attenzione alle politica identitaria e alla giustizia sociale fin da giovane.
Le mie esperienze vissute hanno plasmato il modo in cui vedo il mondo, e questo ovviamente influenza le mie ricerche artistiche e il mio attivismo.
Probabilmente suona un po’ banale da dire, ma sono sempre orgogliosǝ di chi sono. Ho un tatuaggio che dice: “diventi orgogliosǝ con la pratica”
È qualcosa a cui fa spesso riferimento la defunta attivista per la disabilità, Stella Young. È un promemoria che l’orgoglio, davanti al pregiudizio sociale, richiede lavoro. È un atto di resistenza e sfida essere orgogliosǝ in una società che mi dice costantemente che sono meno umanǝ perché ho una disabilità