Cosa direste se un dirigente scolastico vi comunicasse che, viste le nuove misure per contrastare il COVID, col nuovo anno scolastico vostro figlio non potrà utilizzare il bagno della scuola e, dato che ha la necessità di andare al bagno ogni tanto, sarebbe meglio tenerlo a casa? Parrebbe una cosa assurda, nessuno si sognerebbe mai di negare a un bambino il diritto di andare a scuola solo perché ogni tanto potrebbe aver bisogno di usare il bagno.
Questo non è accaduto e spero non accadrà mai, eppure a un ragazzo autistico è stato negato il diritto di essere se stesso. Un’amica che mi ha messo a conoscenza del seguente episodio (riportato nella foto e preso da un profilo pubblico): alla mamma di un autistico è stato detto che a causa delle nuove norme anti-COVID il figlio non potrà più disporre di un luogo in cui affrontare le proprie crisi, quindi meglio tenerlo a casa.
Per un autistico la scuola è un luogo carico di stimoli difficili da gestire, e non è da escludere che in determinate circostanze possa andare incontro a un sovraccarico sensoriale, emotivo o cognitivo. In casi come questo è possibile che raggiunga il punto di non ritorno e abbia un meltdown, una di quelle crisi che autistici, genitori ed educatori conoscono fin troppo bene. Ora, per riuscire a gestire una situazione del genere, il modo migliore è ridurre gli stimoli che hanno portato alla crisi, e la soluzione più efficace è portare l’autistico in un luogo tranquillo come ad esempio una stanza poco illuminata, lontano dalle voci dei compagni e dal rumore.
Ma evidentemente un’esigenza del genere non risulta essere equiparabile alle necessità degli studenti neurotipici, come ad esempio quella di andare al bagno, che invece nessuno metterebbe mai in discussione.
Qui ci troviamo di fronte a un fatto molto grave che mostra chiaramente quanto i diritti di chi è ritenuto diverso vengano messi in secondo piano rispetto a quelli di chi appartiene alla cosiddetta ‘normalità’. A parte questo episodio specifico, durante questi ultimi mesi difficili per tutti le persone disabili sono state costantemente messe da parte, i loro bisogni accantonati come se non fossero importanti al pari di quelli delle persone non disabili. L’emergenza sembra aver giustificato un trattamento differente per coloro che si discostano dai canoni della normalità, e il concetto di inclusione si è dimostrato per quello che è: una concessione fatta dalla maggioranza alle minoranze, concessione che in situazioni particolari può essere sospesa o revocata, mettendo in luce uno squilibrio di potere che favorisce sempre e comunque coloro che ‘concedono’ l’inclusione, a sfavore di chi già si trova in una situazione di svantaggio a causa di barriere fisiche e sociali costruite e mantenute dalla stessa maggioranza.
Dalla chiusura dei centri per le attività diurne, all’impossibilità per i familiari di vedere i propri cari nelle strutture residenziali in cui sono alloggiati, alle peripezie di tante persone che hanno dovuto adattare le nuove metodologie didattiche alle proprie necessità arrangiandosi come hanno potuto, sembra che la diversità meriti attenzione solo quando tutto va bene. Prima di tutto bisogna garantire i diritti e i bisogni delle persone ‘normali’ poi, se ci si riesce, vediamo di fare qualcosa per i disabili, per chi ha esigenze differenti. Una dinamica che ricorda in modo sinistro quei proclami razzisti che vorrebbero ‘prima gli italiani’, come se gli stranieri fossero inferiori.
E alla fine ci siamo arrivati, perché di questo si tratta, di ritenere che i diritti, che la stessa esistenza di chi è differente dalla maggioranza abbiano un valore inferiore, che possano essere messi in secondo piano perché ‘prima i normali’, ché la situazione è già difficile per loro.
In una società abilista che ancora crede nell’esistenza di una normalità che ha il diritto di includere o escludere dalla vita sociale coloro che arbitrariamente vengono ritenuti ‘diversi’, gli ultimi saranno ultimi anche e soprattutto quando più avrebbero bisogno di essere ascoltati, di sentirsi parte della società.
L’ho già detto e lo ripeto: l’idea di inclusione va superata perché mantiene in piedi proprio quelle discriminazioni che vorrebbe eliminare. Fino a che ci sarà bisogno di ‘includere’ vuol dire che qualcosa non va, che qualcuno si sentirà in diritto di decidere chi sta dentro e chi sta fuori, e di attribuire un valore all’esistenza di altri esseri umani in base a criteri arbitrari e discutibili.