Un giorno in meno ci separa dal 2 aprile, la giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo. E, come promesso, ecco un altro piccolo suggerimento da una persona autistica a chi scriverà o parlerà di autismo.
Recita il detto: se non puoi essere elegante, sii almeno stravagante. Insomma, se proprio non riesci a essere normale, sii almeno speciale.
Un po’ quello che succede a noi persone autistiche che, nella narrazione collettiva della società neurotipica, passiamo da essere creature sofferenti e piene di deficit a supereroi, speciali. Insomma, se proprio non riusciamo a essere come voi, a guardarvi negli occhi quando parliamo; se non riusciamo a evitare di andare fuori di testa a causa di stimoli sensoriali che a voi non fanno né caldo né freddo, o di tenere a bada quei movimenti stereotipati che tanto vi infastidiscono, allora bisogna che diventiamo almeno speciali.
E infatti il 2 aprile mi sveglierò e, tra il primo e il secondo caffè della giornata, scoprirò di essere un genio, creatura speciale, mente brillante, creatore di sistemi e cercatore di pattern come se non ci fosse un domani. Per fortuna che poi ci penserà la narrazione del dolore a riportarmi coi piedi per terra ricordandomi che “soffro” di autismo e sono “affetto” da questa sindrome terribile.
Ma allora non siete mai contenti? potrete pensare. Non vi va bene che vi definiamo difettosi e sofferenti, allora proviamo a rendervi accettabili cercando in voi qualcosa di speciale, e nemmeno questo vi va bene?
Il fatto è che questa narrazione dell’autisticǝ stravagante, speciale, geniale, questa visione dell’autismo come un superpotere (e poco m’interessa che ci sia un’autistica famosa che lo definisce tale), porta con sé due problemi:
1) Se per “includere” le persone differenti dalla media la società deve per forza trovare in loro qualcosa di accettabile, una qualità eccezionale che metta in ombra il difetto di essere differente, allora mi dispiace ma è una gran paraculata.
In tanti vorremmo poter essere parte della società senza dover prima diventare speciali. E poi per cosa? Speciale per essere autisticǝ? Quale superpotere potrò mai avere rispetto a chiunque altro? E questo ci porta al punto successivo.
2) Che è ancora peggio del punto precedente: se accettiamo la narrazione che vede l’autismo come un superpotere, gli autistici e le autistiche come creature speciali, se utilizziamo questa storia come fonte di ispirazione, stiamo discriminando tutte quelle persone autistiche che non hanno determinate caratteristiche. Oggi c’è questa idea (che ho smentito in diversi articoli) che noi persone autistiche siano tutte geni dell’informatica, che abbiamo una mente matematica, che vediamo pattern dovunque. Insomma, messa così sembrerebbe davvero che abbiamo una marcia in più e tutti quei guasti, quegli errori di fabbricazione come i deficit nell’area sociale, nel linguaggio, nella sensorialità che ci vengono comunque attribuiti, passano in secondo piano.
Ma come la mettiamo con quelle persone che non hanno particolari doti informatiche (come me), o che non trascorrono la vita a cercare schemi e analizzare sistemi? Come la mettiamo con quella parte di autistiche e autistici che non comunicano utilizzando il linguaggio verbale, con quelli che non rientrano nella favoletta del superautismo?
Questo tipo di narrazione è abilista e crea esclusione, contribuisce a emarginare maggiormente alcune persone per riabilitarne altre. Personalmente, voler attribuire caratteristiche positive a qualcuno perché solo in questo modo verrà accolto dalla società, lo trovo altrettanto discriminatorio che dirgli apertamente che è un crogiolo di deficit e difetti e che per questo è destinato a soffrire.
Non è difficile, basta fare uno sforzo, basta smettere di voler modificare l’altrǝ o l’immagine che abbiamo di lǝi ma provare invece a cambiare il nostro sguardo, il modo in cui noi guardiamo il prossimo. Basta pensare che esistono modi differenti di essere e che sono tutti validi.
Il 2 aprile, se proprio volete parlare di noi autistiche e autistici, per favore, evitate di utilizzare termini come speciale, e cercate di non dipingere le nostre differenze come superpoteri. Proviamo a convivere con le differenze per quello che sono: differenze.