Superare la dominazione attraverso l’autorappresentanza

matite dei colori dello spettro luminoso disposte in cerchio con la punta verso l'interno

Prima della seconda guerra mondiale, il discorso ufficiale medico, scientifico, politico, religioso e legale riguardante i comportamenti e i desideri sessuali aveva lavorato per rendere l’omosessualità comprensibile all’eterosessuale dominante, e per renderla quindi circoscritta e non minacciosa per l’ordine eterosessuale [. ..]
Questo flusso di informazioni è servito a produrre significati dominanti attribuiti all’omosessualità, significati prodotti dall’esterno, da non omosessuali e con un particolare fine specifico, cioè il contenimento di una “malattia sociale”.
A partire dalla fine degli anni Quaranta, alcuni uomini gay avevano cominciato a lasciare tracce delle loro esperienze della propria sessualità e dei propri desideri in prima persona e, cosa più importante, delle loro lotte contro i discorsi ufficiali dominanti. All’inizio degli anni ’60, gli uomini gay di San Francisco erano attivamente impegnati in una battaglia culturale per la capacità di definire il significato dei propri desideri sessuali, dei comportamenti, delle relazioni e della comunità, una battaglia che hanno combattuto in parte sulle pagine della nascente stampa gay della città. […] gli uomini gay cercavano consapevolmente di comprendere i loro desideri sessuali e i comportamenti, generando nuove conoscenze sul loro essere gay […]
Questa nuova conoscenza andava contro i discorsi ufficiali dell’ordine eterosessuale, quindi gli uomini gay dovettero lavorare sodo per creare uno spazio cognitivo in cui coltivare il proprio significato dell’omosessualità, e che avrebbe sostenuto le loro comunità gay emergenti.
[…] [le persone] gay hanno vissuto il significato dell’omosessualità [creato dalla cultura] dominante dentro i loro corpi, sperimentandone l’esperienza come personale, interna, emotiva e cognitiva. […] I significati dominanti dell’omosessualità ebbero il potere di disciplinare non solo i comportamenti degli uomini gay, ma anche i loro sentimenti e le loro percezioni di sé. […] Così, uomini e donne gay hanno combattuto una battaglia non solo per il riconoscimento politico, ma per [ottenere] il potere di creare i propri significati per la propria sessualità così come essi la vivevano. Ma questo progetto richiedeva una vigilanza costante contro un ordine simbolico che cercava di spazzarli via. In altre parole, superare il tipo di violenza simbolica perpetrata da discorsi medici, religiosi, legali e della cultura di massa ha richiesto molto lavoro.

Quella che avete letto è una mia traduzione di alcuni passaggi di un lungo articolo intitolato “Superare la dominazione attraverso l’autorappresentanza”[1].

Adesso facciamo un gioco: rileggiamo l’articolo sostituendo la parola gay, omosessuale, omosessualità, sessualità, con le definizioni di un’altra minoranza. Potrebbe essere autistico, autistica, autismo, funzionamento; oppure disabile, disabilità, abilità. Una qualsiasi, perché tanto il gioco vale per tutte quelle categorie di persone che oggi sono escluse dal discorso sociale, e che vedono se stesse e la propria cultura rappresentate nel mondo dallo sguardo della maggioranza. Di una maggioranza che crea una narrazione della diversità contenibile, gestibile, comprensibile, meno spaventosa. Una narrazione in cui però le minoranze non possono rispecchiarsi perché è creata dall’esterno. Una narrazione nel migliore dei casi paternalistica, nel peggiore umiliante, deficitaria, patologizzante, disumanizzante.

Se la base dell’inclusione è una rappresentazione di alcune persone su cui però esse stesse non hanno alcuna influenza, allora non sarà mai un processo paritario ma continuerà a esprimere il rapporto di sudditanza tra chi viene denominatǝ minoranza e coloro che si autodefiniscono maggioranza.

NOTA
[1] Ormsbee, J. T. (2005). Overcoming Domination through Self-Representation: Gay Men s Experience in 1960s San Francisco. Social Thought and Research, doi/10.17161/str.1808.5202


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