Molto rumore per nulla?

Una ragazza che urla tappandosi le orecchie

La mia vita è stata sempre condizionata dal suono, nel bene e nel male, fin da quando ero un bambino. Tra tutti i sensi, in me l’udito è sicuramente quello più sviluppato, e a volte questa sensibilità è davvero difficile da gestire.

Mia madre, quando ero piccolo, mi prendeva in giro perché riuscivo a sentire tutto, anche quando chiacchierava con le amiche nella stanza accanto, o quando io mi trovavo dall’altra parte del cortile ed era praticamente impossibile che potessi aver ascoltato quello che diceva. E per questo mi chiamava “recchie ‘e pulicano”, che in napoletano si usa per indicare appunto una persona che sente ogni cosa, come i pubblicani (da cui deriva il termine “pulicano”), gli esattori delle tasse ai tempi dell’antica Roma, che per beccare gli evasori fiscali dovevano origliare le conversazioni tra la folla, carpire informazioni cercando di passare inosservati.

Il problema però è che io non lo facevo apposta, non ci ho mai provato gusto ad ascoltare le conversazioni della gente, ma è impossibile non riuscirci perché sento tutto. Suoni, rumori, parole, passi, musica anche quando il volume è praticamente impercettibile al resto del mondo, io riesco a sentirli, e questo è un problema perché la concentrazione ne risente parecchio. Ma soprattutto è stancante, è come essere perennemente in una strada di città all’ora di punta con la gente che grida, i clacson che strombazzano e le auto che fanno rumore, martelli pneumatici e sirene della polizia, freni che fischiano e gabbiani che garriscono tutto insieme in un miscuglio infernale che, spesso, toglie il respiro e fa girare la testa.

Ecco perché devo lavorare sempre con le cuffie, è necessario per riuscire a trovare la concentrazione. Ecco perché ho costantemente bisogno di rumore bianco di sottofondo quando non ho le cuffie, e allora in cucina accendo l’aspiratore anche quando il fornello è spento, così non sento i vicini che parlano.

Ora io lo so che questo potrà apparire uno sfogo senza senso perché su, andiamo, a tante persone danno fastidio i rumori. Ma qui la cosa è particolare, qui si tratta di una caratteristica dell’autismo che, quando presente, può avere ricadute anche pesanti su diverse aree della vita come le relazioni sociali, la scuola o il lavoro.

Uno studio del 2012 suggerisce che la metà delle persone autistiche attua comportamenti di fuga a causa dell’ipersensibilità ai suoni e ai rumori, raddoppiando rispetto alla media della popolazione il rischio di finire vittima di incidenti[1], perché lo stimolo uditivo a volte è così insopportabile che tu DEVI scappare, non importa dove ti trovi ma DEVI allontanarti. E allora attraversi la strada senza guardare perché sei fuori di te, o infili la testa sotto una montagna di cuscini e rischi il soffocamento o semplicemente diventi intrattabile e alla minima esplodi, e chi ti sta accanto pensa tu sia impazzito.

Non è facile gestire tutto questo, non lo è se ti trovi in un’aula scolastica o in un ufficio open space. Non è facile perché spesso nemmeno te ne rendi conto ma da fuori si vede, che diventi tesǝ, nervosǝ, che stai per fare il botto. E a volte ti alzi e scappi via dal ristorante, dalla riunione di lavoro o dalla lezione a scuola. Logora i rapporti umani questa cosa, perché poi certi rumori danno fastidio solo a te e allora tu sei quellǝ che litiga con qualsiasi vicinǝ di casa o con lǝ coinquilinǝ o con lǝ colleghǝ.

Diventa difficile a volte gestire questa cosa proprio perché le altre persone non capiscono quanto tale reazione sia incontrollabile e naturale per te, anzi, spesso non ti credono nemmeno, perché non riuscendo a comprendere quello che provi sembri solo fuori di testa. O sei quellǝ che cerca scuse improbabili per non lavorare, per uscire prima, sei quellǝ dai modi impossibili che scoppia come una pentola a pressione senza motivo. Perché a volte hai voglia a spiegarlo il motivo, ma no, non è possibile.

Oggi si parla tanto di inclusione. Nella scuola, sul lavoro, inclusione sociale, eppure quando noi persone autistiche parliamo, quando cerchiamo di spiegare come potremmo venirci incontro da entrambi i lati, dall’altra parte c’è un irrigidimento inspiegabile. No, a cambiare dobbiamo essere noi, le terapie per “abituarci” a sopportare l’insopportabile dobbiamo farle noi. A lavorare in ambienti rumorosissimi ci dobbiamo rimanere noi, tanto ci fanno i training e allora va bene tutto, puoi imparare a trattenere certe reazioni, no?

Si parla davvero tanto di inclusione e ogni volta vedo ripetersi le stesse dinamiche: la maggioranza rimane immobile e ti permette di entrare. Però poi sono problemi tuoi se il mondo della maggioranza è troppo rumoroso. Anzi, anche quando per rassegnazione decidi che ok, mi isolerò io così non rompo le scatole a nessuno, quando spendi un patrimonio per comprare le cuffie che abbattono i rumori esterni, no, non va bene. Non puoi tenere quelle cuffie in ufficio, e nemmeno a scuola ovviamente, altrimenti come fai a sentire la lezione. Ah, e nemmeno se vai in bicicletta perché altrimenti il clacson della macchina che ti sta per falciare non lo senti.

Che non sia facile e a volte sia impossibile cambiare un mondo strutturato per chi non ha una certa sensibilità uditiva è anche comprensibile, entro certi limiti. D’altra parte noi siamo solo un 2% della popolazione, che pretendiamo, no? Ma che troppe volte non si voglia nemmeno fare lo sforzo di venirci incontro, se non altro di comprendere quello che ci accade quando siamo sottopostǝ a stimoli che non riusciamo a sopportare, è davvero avvilente.

Se davvero vogliamo fare inclusione, allora bisogna ripensare il modo di farla, bisogna cominciare ad ascoltare, a domandare, a prendere seriamente in considerazione la narrazione del mondo che possiamo fare noi anche se a volte quel mondo può apparire incomprensibile. Perché è proprio lì il problema, in quell’incomprensibilità che rimarrà per sempre tale finché non ci sarà la volontà di ascoltare senza giudicare, ma per capire.

NOTE:
[1] Anderson, C., Law, J. K., Daniels, A., Rice, C., Mandell, D. S., Hagopian, L., & Law, P. A. (2012). Occurrence and Family Impact of Elopement in Children With Autism Spectrum Disorders. PEDIATRICS, 130(5), 870–877. doi:10.1542/peds.2012-0762

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