La normodiversità

due finestre, una accanto all'altra, esattamente uguali su una parete arancione

Le persone autistiche sono tutte diverse tra loro.

Quante volte abbiamo letto o sentito questa affermazione? È vero, viene da pensare, non esiste una persona autistica uguale all’altra. Ma, se ci soffermiamo un attimo a rifletterci, non è assurdo che una verità così semplice e intuitiva debba essere ribadita costantemente?

Nessuno si sognerebbe di pensare che le persone neurotipiche sono tutte uguali tra loro. Per loro vale il discorso opposto: i mezzi di comunicazione, la pubblicità, tutta la cultura neurotipica sono intrise di una narrazione dell’unicità che però, per qualche motivo particolare, s’interrompe quando ci si imbatte in una categoria specifica di persone, una qualunque, come ad esempio quella delle persone autistiche.

Insomma, a chi verrebbe in mente di pensare che le persone neurotipiche sono tutte uguali, che abbiano tutte gli stessi identici comportamenti, le stesse precise reazioni a un cibo dalla consistenza particolare o a una luce, o che interagiscano tutte esattamente alla stessa maniera? Sarebbe davvero sciocco, no?

Eppure se sei autistica, da fuori ti guardano come se sapessero perfettamente cosa aspettarsi da te. Una ragazza autistica è osservata a partire da uno stereotipo creato artificialmente, da una media ottenuta calcolando la frequenza con cui alcuni comportamenti si ripetono tra le persone come lei.

Ma si tratta di generalizzazioni, non bisogna mai dimenticarlo. In media, tra le persone autistiche è frequente vedere comportamenti autostimolatori piuttosto evidenti. In media, tra le persone autistiche è frequente osservare una socialità che risulta incomprensibile se analizzata utilizzando i codici neurotipici. In media, tra le persone autistiche gli stimoli sensoriali possono sovrapporsi e causare sovraccarichi che, dall’esterno, risultano in comportamenti incomprensibili. Appunto: in media.

Ma in media la persona di sesso maschile italiana è alta 174,5cm, eppure quanti di voi sono alti esattamente 174,5cm? Sarebbe corretto aspettarsi che tutti gli uomini italiani fossero alti 174,5cm? No, però è del tutto naturale immaginare che una persona autistica non vi guarderà negli occhi durante una conversazione, oppure che non vorrà essere toccata o che non sopporterà i rumori, anche i più deboli. E così, quando un autistico o un’autistica non rientrano in quello stereotipo immobile e granitico creato a partire da medie e statistiche, diventi strano tra gli strani, un autistico atipico.

«Ma non puoi essere autistica, tu guardi negli occhi!». Oppure: «Ma voi autistici non eravate tutti asociali? Non ci credo, ma allora posso abbracciarti! Eppure pensavo che a voi desse fastidio essere toccati!».

Non è buffo dover specificare che noi persone autistiche siamo persone come tutte le altre, e in quanto persone siamo tutte diverse tra noi? Anzi, più che buffo è stancante immaginare che anche in quella diversità che ti esclude dalla maggioranza, devi soddisfare determinate aspettative, devi corrispondere a quei meccanismi normalizzanti che reggono anche la diversità. Io, nelmio ultimo libro, l’ho chiamata normodiversità.

Ma questo è un problema; l’idea che mettere insieme determinate persone in base ad alcune caratteristiche che condividono con maggiore frequenza – come determinati comportamenti, o l’orientamento sessuale o il colore della pelle – è un’idea che limita la visione dell’umanità e ci porta a commettere errori.

Penso a tutte le volte in cui mi sento proporre interventi di inclusione sul lavoro basati su determinati stereotipi con la convinzione che dovranno funzionare allo stesso modo con ogni persona autistica. Oppure ricordo l’espressione di sconforto e sorpresa che si disegna sui volti di chi dovrà selezionare personale autistico e scopre che il linguaggio ambiguo e le battute di spirito possono essere prese alla lettera ma che, allo stesso tempo, noi autistici e autistiche potremmo fare delle battute, e a volte perfino essere persone spiritose e divertenti.

Chi lo sa, forse sarebbe più pratico immaginare che le persone che abbiamo infilato in determinate categorie in base all’osservazione di specifici comportamenti o di alcune caratteristiche fisiche, sensoriali, neurologiche o culturali, non necessariamente rappresentano alla lettera l’immagine creata artificialmente per rappresentare quella categoria. Forse, sarebbe utile non cascare nel trucco di questa piccola normalità creata dentro ogni categoria della diversità, quella che io chiamo la normodiversità, e partire dal presupposto che a prescindere dalla persona media, siamo tutte e tutti differenti.

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