La tecnologia, l’autismo e le opinioni di Paolo Crepet

Insomma, io mi ero ripromesso di evitare di scrivere per qualche giorno, ma poi arriva Paolo Crepet che dimostra pubblicamente di non essere molto aggiornato in un campo del quale, come egli stesso dichiara, si occupa da 40 anni.

Nello specifico, in una puntata di Coffee Break (che trovate cliccando qui), Crepet sostiene che la tecnologia allontana i bambini da quella che, con un tono populista che rimanda al buon sapore della cucina della nonna, sarebbe la vita vera: la socializzazione, giocare all’aperto, i rimproveri e le lodi degli insegnanti, il contatto fisico. Pensandoci, effettivamente se trascorri tanto tempo davanti al computer, ne hai di meno per andare a sbucciarti le ginocchia in cortile. Ma il problema qui è un altro e non ha nulla a che vedere con l’ingenuità anche un po’ tenera dell’affermazione precedente; il problema è che, secondo Crepet, se i bambini continuassero con l’istruzione a distanza, diventerebbero tutti autistici.

Effettivamente era da un po’ di tempo che non veniva tirato fuori l’autismo in relazione a qualche pratica considerata negativa, senza però uno straccio di prova a sostegno dell’ipotesi in questione. Inoltre – e qui arriva la perla – a dimostrazione che purtroppo un professionista che esprime la propria opinione (badate: opinione, non fatti dimostrabili) davanti a milioni di persone non conosce l’argomento di cui parla, Crepet afferma che i bambini a causa dell’uso eccessivo della tecnologia “diventano autistici perché non usano i sensi”.

In sette parole è riuscito a spazzare via la narrazione di quella maggioranza di autistici che invece confermano il contrario, e cioè che noi i sensi spesso li usiamo e anche troppo; che uno dei problemi dell’autismo è proprio una sensorialità fuori controllo, difficile da gestire. E questo uno psichiatra dovrebbe saperlo, visto che la ipersensorialità è addirittura uno dei criteri diagnostici del DSM-5 (il criterio B che al quarto punto dice: “Iper- o ipo-sensibilità a input sensoriali o interessi atipici per aspetti sensoriali dell’ambiente, come apparente indifferenza al dolore o al freddo, riposte evitanti a specifici suoni o aspetti tattili, eccessiva attività nell’odorare o nel toccare oggetti, fascinazione per luci o per oggetti che ruotano.”).

Lo spettacolo è davvero triste e viene da domandarsi: ma è possibile che nel panorama degli opinionisti italiani non ci sia nessuno psichiatra con un minimo di competenze, nessuno che si senta minimamente responsabile dell’impatto che le proprie parole hanno sulle persone che, pensando di ascoltare un esperto, alla fine credono a quelle affermazioni farlocche? Io non riesco a comprendere la leggerezza con cui determinate persone si lascino andare a commenti così banali, superficiali e dannosi non solo nei confronti dell’autismo, ma anche dell’uso della tecnologia perché, lo ripeto, si tratta solo di opinioni personali.

Non si può infatti mettere in dubbio il dato ovvio: se stai davanti al PC o al tablet per ore e ore al giorno, non stai fuori a giocare con gli amici. Quella che va messa in discussione è l’affermazione che questo abbia effetti negativi sui bambini. E poi che questi effetti negativi siano l’autismo, mettendo ovviamente in correlazione questa condizione con un deficit, con un difetto nella socialità, insomma, la solita visione del deficitaria e negativa che da uno con tanta esperienza non ci si aspetterebbe.

Il problema di opinioni semplicistiche come questa è che non rispecchiano mai la realtà, che in genere suole essere un po’ più complessa e richiede un minimo di sforzo cognitivo in più. Nello specifico, ha poco senso mettere in relazione la socializzazione, le nuove tecnologie, l’uso dei sensi e l’autismo senza prima studiare in che modo queste si influenzino tra loro, quali siano gli effetti reali di tali influenze, se siano maggiormente positivi o negativi o se alla fine non cambino molto il quadro generale, la qualità di vita dei giovani.

Ragioniamo: c’è una quantità enorme di studi e articoli scientifici che investigano il ruolo positivo delle nuove tecnologie sulla socializzazione in generale, su aspetti specifici della socializzazione e sulla comunicazione. È sbagliato dire che la tecnologia impedisce la socializzazione perché in realtà accade il contrario, grazie alla tecnologia oggi siamo forse iper-sociali. Quello che forse Crepet intendeva dire (senza successo) è che l’uso della tecnologia riduce UN tipo di socializzazione, quella fisica, dal vivo, che però non è l’unica possibile.

La tecnologia, ad esempio, sembra essere di grande aiuto per chi ha difficoltà in quel tipo di socializzazione dal vivo come, guarda un po’, proprio gli autistici. Allo stesso modo, è grazie alla tecnologia che molti autistici non verbali hanno la possibilità di comunicare più agevolmente, pensiamo alla Comunicazione Aumentativa Alternativa su smartphone e tablet.

Ma, mi si dirà, la tecnologia riduce l’uso dei sensi! E sicuramente stando chiusi in casa davanti a uno schermo alcuni dei sensi vengono stimolati di meno (ma altri di più), qui non ci piove. La domanda però è: questo porta a diventare autistici? Ovviamente, la risposta è NO. Non esiste nessuna prova che l’autismo possa essere causato da una deprivazione sensoriale conseguente all’uso di tecnologia e alla socializzazione virtuale. Anzi, parlando con gli autistici (e lo confermo anche io in prima persona) questo tipo di socialità in molti casi risulta più gestibile proprio perché implica una minore esposizione all’eccesso di stimoli sensoriali, che invece per noi è rappresentato dal mondo “normale”. Vale a dire, caro Crepet, che caso mai è vero il contrario, e cioè che l’uso massiccio di tecnologia al limite potrebbe rendere più sociali gli autistici.

Questo senza contare che tutti quegli autistici nati e cresciuti prima dell’arrivo della tecnologia, seguendo questo ragionamento, non dovrebbero esistere. Perché se l’autismo è causato dal non utilizzo dei sensi, allora io sono un’eccezione, sono forse l’unico autistico che ha giocato in cortile, che aveva un piccolo orto e delle piante da curare, che è andato a scuola e ha cercato di socializzare seguendo quella normalità che Crepet vede così in pericolo.

Oppure no, probabilmente la verità è che uno psichiatra, non riflettendo sul peso che le proprie parole hanno nei confronti del pubblico, ha detto una sciocchezza, ha espresso una semplice opinione con l’autorevolezza del professionista, opinione che non è supportata da nessun dato o studio scientifico, nulla. Questo specialista ha lasciato credere che l’uso massiccio della tecnologia nei bambini causa l’autismo, ha contribuito a dare informazioni false, sbagliate e dannose che potrebbero avere conseguenze nelle vite di molti bambini.

Forse sono stupido io, che prima di parlare mi documento, forse sbaglio io che anche per scrivere un articoletto come questo vado prima a controllare la letteratura scientifica sull’argomento per evitare di dire sciocchezze, per non rappresentare una realtà complicata e – in questo momento soprattutto – estremamente fragile come se fosse una storiella facile in cui la comprensione di fenomeni complessi è inutile, tanto basta farsi un’idea così, avere un’opinione.

Purtroppo, per l’ennesima volta, si è persa l’occasione per stare in silenzio ed evitare di dare il proprio contributo al mantenimento di una narrazione che vuole l’autismo come una collezione di deficit, come una conseguenza di errori, di cattivi genitori o di una società allo sbando, quasi fosse una punizione divina. Ancora una volta ci si è lasciati sfuggire l’occasione per discutere in modo intelligente e pacato, di argomentare fenomeni socioculturali come quello della recente esplosione tecnologica basandosi sui fatti, e non sulle idee retrograde di chi non riesce a distinguere tra le proprie opinioni e la meravigliosa complessità di una realtà oggi in così rapida evoluzione.

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