Il prezzo dell’inclusione

L’inclusione è anche una questione di classe. Lo è perché l’esclusione nasce dal privilegio, dal privare alcune persone di diritti garantiti invece ad altre. Sicuramente parlare di inclusione da un punto di vista individuale e identitario è importante, è una parte necessaria del cammino verso una società aperta alla convivenza delle differenze che ci caratterizzano, alla diversità intesa come naturale variabilità di tratti, all’unicità di ciascuna persona.

Ma non dobbiamo dimenticare che questa è appunto solo una parte della questione. Perché una vera convivenza basata sul rapporto paritario tra le singole identità e individualità, fondata sulla reciprocità, non è raggiungibile se non si comprende che ogni identità è il risultato dell’interazione con le altre. Bisogna far convergere questi due aspetti, quello identitario e quello collettivo, altrimenti mancheremo il bersaglio e paradossalmente faremo il gioco di un sistema che ha messo un prezzo all’inclusione, che ha mercificato i diritti di tutte e tutti trasformandoli in privilegi riservati a pochi.

L’inclusione è anche una questione di classe perché abbiamo lasciato che i mercati sostituissero le istituzioni su un aspetto così importante come quello dei diritti. Parliamo quasi solo di libertà individuali mentre i diritti vengono dipinti sempre più come pretese. Quando si discute di diritti c’è sempre chi ribalta il discorso parlando di doveri, e in generale il dovere richiesto come contropartita a ogni diritto è quello di produrre e consumare, di lasciarsi sfruttare. Abbiamo accettato di scambiare i diritti con delle libertà fittizie che ci vengono concesse dai mercati con magnanimità e paternalismo.

Se apparteniamo a una minoranza siamo ridotti a una nicchia di mercato da sfruttare. Ma qual è il rischio di accontentarsi delle concessioni del mercato? Qual è il problema nel dover comprare la propria libertà e avere smesso di lottare affinché le istituzioni garantiscano gli stessi diritti a tutti i cittadini e le cittadine? Che i mercati possono ritirare quelle libertà quando non sono più economicamente vantaggiose. Che non tutte le persone possono permettersi di comprare la propria libertà, e allora rimangono in piedi i privilegi, anzi, aumentano.

Di quale inclusione parliamo realmente quando chiediamo una società più giusta? A chi ci rivolgiamo? Per quale motivo un tassista dovrebbe adibire la propria auto al trasporto di passeggeri in carrozzina se questi sono una minoranza? Perché un’azienda dovrebbe assumere persone disabili? Per quale motivo dovremmo garantire servizi di assistenza e terapie gratuiti quando possono essere pagati e generare profitto? Perché includere gratuitamente e perdere così la possibilità di sfruttare un mercato redditizio?

L’inclusione è una questione di classe perché è diventata un bene di consumo, un business. E finché non ce ne renderemo conto e ci batteremo per i diritti di tutte le minoranze e gli individui esclusi, ogni battaglia sarà uno spreco di risorse e di energie, e rischieremo di creare ancora più esclusione tra chi già la vive quotidianamente.

L’esclusione è uno degli strumenti che il sistema socioeconomico attuale, il neoliberismo, utilizza per mantenere e accrescere il potere di pochi a discapito di una maggioranza, e negli ultimi anni questo sta diventando sempre più evidente. L’esclusione è un problema strutturale, è identitaria e intersezionale ed è anche una questione di classe.

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