Giornalisti disinformati e lettori scienziati

Della serie: come riaccendere in un attimo il sacro fuoco della divulgazione dopo un periodo in cui sembrava essersi affievolito.

Effettivamente negli ultimi giorni ho scritto poco, complice probabilmente la mole impressionante di lavoro all’università prima delle vacanze di Natale. O forse mi sono un po’ allontanato dal blog e dalle reti sociali semplicemente per stanchezza, perché ogni tanto gli impegni, gli obblighi, la vita con tutte quelle cose che per altri sono normali e che a me invece costano tanta fatica, mi fanno ritrarre in periodi più o meno lunghi di quasi totale isolamento. Per recuperare le forze.

Stamattina avevo in programma di studiare un preludio e fuga di Bach, e invece, non so spinto da quale forza misteriosa, ho pensato di dare un’occhiata al giornale. Al Fatto Quotidiano, per l’esattezza. E leggo un titolo che attira immediatamente la mia attenzione: Autismo, “in Italia mancano risorse e progetti perché non ci sono né un registro nazionale né un osservatorio”. 

Come sempre quando leggo la parola “Autismo” su un mezzo d’informazione, comincia a venirmi uno strano prurito alle mani. Ma decido di leggerlo, consapevole che la cosa potrebbe rovinarmi la mattinata.

E infatti, dopo aver presentato Fabrizia Rondelli, presidentessa dell’associazione L’Ortica (ce ne fossero di più, di persone e associazioni come loro), il giornalista passa a presentare la dottoressa Olga Bogdashina, definendola “una delle maggiori esperte in Europa di questa malattia neurologica dello sviluppo caratterizzata da deficit nella socializzazione e nella comunicazione”. E lì mi è partita la prima fitta allo stomaco. Giustamente, in un articolo che dovrebbe aiutare a spiegare l’autismo alle persone, il geniale, informatissimo autore casca nell’errore più stupido, nel cliché più banale, e definisce l’autismo una malattia. Ci risiamo.

Vabbè, mi dico, tutto sommato niente di nuovo, alla fine è normale che se decidi di scrivere di qualcosa che non conosci non ti informi a dovere, che citi i dati statistici del Center for Disease Control di Atlanta ma sbagli la cifra (nell’articolo si dice che una persona su 58 riceve oggi una diagnosi di autismo degli USA, ma la cifra reale è di 1 su 59); che non solo definisci l’autismo una malattia – cosa che alla fine ormai fa pure un po’ sorridere – ma specifichi pure che è una “malattia neurologica dello sviluppo caratterizzata da deficit nella socializzazione e nella comunicazione”. E che palle, sempre con questa storia della socializzazione e della comunicazione, come se tutto il resto non esistesse… che poi fa sorridere se penso che invece tutto l’articolo gira intorno al lavoro interessantissimo della dottoressa Bogdashina sulle percezioni sensoriali nell’autismo.

Insomma, l’articolo riesco a mandarlo giù senza troppe reazioni indesiderate, ogni tanto addirittura mi scappa un sorrisetto, come quando leggo che “E’ giunto il momento di scardinare i pregiudizi e fare una corretta informazione sull’autismo” e insomma, detto dal nostro giornalista così informato sui fatti fa veramente ridere. Peccato, perché in realtà tanto la tematica (la conoscenza della condizione autistica, la mancanza di un osservatorio nazionale sull’autismo…), quanto i meriti dell’associazione l’Ortica e di Fabrizia Rondelli e il lavoro di Olga Bogdashina avrebbero meritato un po’ più di attenzione e serietà.

Ma il peggio è arrivato quando, con uno slancio masochistico spettacolare, decido di leggere i commenti dei lettori.

Ecco, a quel punto la giornata è definitivamente naufragata. Prima un sussulto allo stomaco, il solito attacco di gastrite che parte fulminante quando comincio a innervosirmi. Poi le dita hanno cominciato a tamburellare freneticamente sul tavolo, sempre più forte. Sempre più velocemente.

Il festival dello stereotipo becero, di quell’ignoranza arrogante che contraddistingue i commentatori compulsivi del web, quelli che non sanno un cazzo di niente ma sentono il bisogno irrefrenabile di emettere sentenze su ogni cosa, perché hanno sentito dire che le scie chimiche e i vaccini e un amico gli ha raccontato del figlio di una cugina che… insomma, gente che si informa. Pochi commenti, per fortuna, ma abbastanza da farmi tornare di botto la voglia di scrivere, di spiegare, di provare a riparare nel mio piccolo i danni provocati da personaggi del genere che perdono costantemente occasioni preziose per stare in silenzio ed evitare di sparare minchiate a raffica.

Nell’ordine, i nostri geni dell’ignoranza sostengono che:

  • I criteri diagnostici dell’autismo sono stati allargati dalle solite, cattivissime case farmaceutiche fino a includere persone del tutto normali in modo da poter fare soldi. (Dell’aumento di diagnosi di autismo ho già parlato QUI)
  • Che il PD, sì, il Partito Democratico, ha trovato soldi per accogliere i clandestini ma non per i “veri bisognosi” italiani.
  • Che la “folle legge Lorenzin” sta facendo aumentare gli autistici, come accade in ogni paese in cui si effettuano le vaccinazioni pediatriche. Cosa che, invece, non accadrebbe nella comunità Amish che non vaccina i propri pargoli.
  • Chiudendo infine con la domanda inquietante di una lettrice preoccupatissima: e se invece il numero aumentasse a causa dell’inquinamento o magari di farmaci assunti in gravidanza? Bah.…

Da ormai due anni tengo un seminario sullo spettro autistico all’università di Barcellona. In questo seminario spiego agli alunni del master in musicoterapia cos’è l’autismo, e tra le varie cose cerco di smontare i più diffusi stereotipi e falsi miti sull’autismo utilizzando dati, ricerca scientifica e storie di persone autistiche. Lo faccio perché ne ho le scatole piene delle incomprensioni, del modo superficiale che ha la gente di affrontare argomenti importanti, perché non sopporto che certi stereotipi alla fin fine si riferiscano pure a me. Ma soprattutto lo faccio perché desidero che i futuri terapisti abbiano le conoscenze necessarie per lavorare nell’interesse dei loro pazienti e clienti.

Sull’argomento ho scritto anche un libro, Eccentrico, che cerca di affrontare l’autismo in modo semplice ma rigoroso, utilizzando anche aneddoti di vita personale, proprio per spiegare questa condizione di neurodiversità dal di dentro a chi non di cosa si tratti, cosa voglia dire vivere il mondo da autistico.

Quindi, quando leggo certe cose, è inevitabile che mi parta l’embolo.

Ma io dico, davvero ancora stiamo alla storiella delle case farmaceutiche? Ma questi si rendono conto delle scemenze che scrivono? Soprattutto, quali sarebbero i farmaci per l’autismo sui quali le farmaceutiche speculerebbero in modo così lucrativo? L’idea che invece ci sia stato tutto un lungo lavoro studio, di definizioni di criteri, di desiderio di migliorare le condizioni di vita di persone che vivono una condizione piuttosto diffusa ma non per questo meno complicata spesso proprio a causa di persone superficiali come loro, pronte a sparare cazzate alla prima occasione, quest’idea non li sfiora nemmeno da lontano.

Poi c’è il genio che parla dei vaccini. Ancora con qesta storia? Ma non lo sano che è una bufala nata da uno studio fraudolento il cui autore è stato anche radiato dall’ordine dei medici inglesi? Evidentemente, no. Che poi vogliono fare le persone informate, citano la storiella della comunità Amish che non vaccinerebbe i bambini e di conseguenza non conterebbe casi di autismo (citazione smentita da un altro lettore, questo più informato, qui); cose semplicemente sentite dire perché tanto oggi basta un computer o un cellulare e da casa tua, senza mai aver letto un libro o un articolo scientifico, puoi riempire il mondo di inesattezze e contribuire a creare più ignoranza e aumentare i pregiudizi.

Come quell’altro che riesce a infilare idee contro l’immigrazione pure in un commento a un articolo (bruttino) sull’autismo. Forse certe persone dovrebbero ridurre il consumo di alcol e droghe psicotrope. Non lo so, mi sento innervosito da tanta stupidità e superficialità. Perché qui non parliamo di libertà di espressione che, ci mancherebbe altro, è sacrosanta. Qui parliamo di disinformazione, di libertà di far male agli altri, e non mi riferisco alle inesattezze dell’articolo che alla fine sembrano perfino innocue, quanto ai commenti dei lettori, di quei geni che sicuramente non si limiteranno a elargire le proprie conoscenze su temi importanti nei commenti a un articolo su un quotidiano. Queste persone (e ne ho conosciute diverse) diffondono la loro ignoranza in rete senza riflettere sulle conseguenze negative di azioni apparentemente tanto banali.

Se oggi ancora c’è una stigmatizzazione di determinate condizioni – e non mi riferisco esclusivamente all’autismo ma a qualsiasi condizione che supponga una diversità dalla massa – in parte è anche a causa della superficialità con cui le persone parlano di cose che in realtà non conoscono. Anzi, della superficialità con cui questi individui emettono giudizi del tutto personali e privi di una qualsiasi base non dico scientifica, ma almeno informata, su condizioni a loro sconosciute. E il danno è grande, perché poi questi stereotipi, queste idee rozze feriscono chi ne diventa bersaglio, e creano un clima di diffidenza che di sicuro non aiuta alla comprensione delle differenze.

Io sono sinceramente stanco di sentirmi dire, ma anche solo di leggere, che le difficoltà che con tanta fatica cerco di superare quotidianamente in realtà non esistono, perché la mia condizione sarebbe il frutto di una cospirazione delle case farmaceutiche brutte e cattive. E sono stanco di sentirmi dire che sono malato, con il più profondo rispetto per gli ammalati. Solo che le parole hanno un peso, un significato che indica una cosa e non un’altra.

A volte penso sia una battaglia persa, soprattutto quando mi guardo intorno e vedo che la gente troppo spesso non si prende nemmeno un attimo per domandarsi se quello che sta per dire o scrivere potrebbe ferire qualcun altro. Mi fa cadere le braccia questa spinta verso la semplificazione di concetti complessi (ripeto, non parlo solo di autismo ma di ogni aspetto della nostra vita) che arriva prima di tutto dai media e dalla politica, e si traduce nella diffusione di un pensiero generale leggero e semplicistico.

Poi ripenso ai miei studenti, al fatto che anche dopo aver completato gli studi mi scrivono per avere consigli sui loro pazienti autistici, perché desiderano poter migliorare le condizioni di vita di queste persone, vogliono aiutarle a stare meglio, sperano di contribuire a creare un mondo in cui si giudichi meno e si comprenda di più. E allora mi sento felice di quello che faccio, del contributo che riesco ad apportare, e ai giornalisti poco informati e agli stupidi commentatori, almeno per un po’, riesco anche a non pensarci.

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