Frequenza

un equalizzatore luminoso in cui ogni frequenza ha un colore dello spettro luminoso

E se traducessimo l’aggettivo “normale” con “consueto”, il cui significato è semplicemente relativo alla frequenza con cui determinate caratteristiche si presentano nella popolazione? Consueto come sinonimo di frequente, non necessariamente migliore, desiderabile.

Parlare di neurodiversità non è un capriccio, e in generale non lo è parlare di diversità, di variabilità, cercare di guardare alle differenze individuali come caratteristiche e non paragonarle a un illusorio Ideale di normalità che impone come contropartita il concetto di anormalità, di indesiderabilità, di difetto.

Non è un capriccio, pensare in termini di (neuro)diversità, perché permette di andare oltre l’idea di deficit, permette di guardare alle potenzialità di ciascuna persona qualsiasi esse siano, consente di avvicinarsi anche alle caratteristiche più problematiche che alcune persone posseggono in modo costruttivo, cercando soluzioni che partano dal punto di vista e dalle necessità di ciascun individuo, e non dalle aspettative che nutriamo verso di loro.

Pensare in termini di differenze, anche da un punto di vista neurologico, ci permette di assicurare pari dignità ai diversi funzionamenti, alle varie espressioni della diversità umana, e questo senza necessariamente dover minimizzare le difficoltà ma anzi mettendole nel giusto contesto, non stigmatizzandole ma comprendendole.

Essere differenti non è uno slogan da utilizzare per vendere più scarpe da ginnastica, non è uno strumento di marketing per farci sentire speciali, migliori. La diversità non è un valore solo quando è dipinta a tinte positive; la variabilità che contraddistingue ciascuna persona è la condizione di base della natura umana.

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