Ovvero, come riuscire a trasformare un percorso di 15 minuti in una passeggiata di un’ora.
Prima presentazione del libro, ieri, a Bologna. Esco dal treno e mi dirigo all’uscita della stazione, dove ho appuntamento con Lorenzo, il relatore. Io, come al solito, non ho idea di come arrivare alla libreria ma decido di affidarmi a lui, che la città la conosce bene. Piccolo problema: non avevo fatto i conti col fatto che, essendo anche lui Aspie, avrebbe potuto avere il mio stesso problema col senso dell’orientamento e la lettura delle mappe.
E infatti, dopo esserci incontrati, tira fuori il cellulare e apre Google Maps. E già lì avrei dovuto sospettare qualcosa visto che, come dicevo, Bologna la conosce bene.
Dopo dieci minuti Lorenzo si ferma e consulta la mappa con uno sguardo che conosco fin troppo bene, e mi chiede aiuto. Immediatamente mi risuonano nella testa le parole di mia sorella: dalla stazione alla libreria ci vogliono al massimo 15 minuti, la strada è semplice. E una leggera sensazione di ansia comincia a fare capolino.
Camminiamo ancora per una decina di minuti imboccando strade a caso, fregandocene allegramente delle indicazioni sulla mappa che ogni due minuti cercava di suggerire percorsi alternativi. Dopo un po’, probabilmente per puro culo, imbocchiamo la strada segnata sul cellulare. Certo, però nella direzione sbagliata. E l’ansia aumenta.
Controllo l’orologio: manca un’ora e mezza alla presentazione, e avevamo deciso di vederci con un paio d’ore di anticipo in modo da prepararci un po’. L’immagine di noi due girovagando per Bologna – che non è proprio una metropoli tentacolare – a notte fonda mi si materializza davanti agli occhi.
Giriamo a sinistra, no, a destra, poi dritto, poi torniamo indietro. Uno scorcio stupendo, facciamo una foto che certe cose su Instagram vanno sempre bene e ricominciamo il pellegrinaggio. Ho l’impressione che stiamo girando intorno alla libreria, ma per qualche strano motivo il maledettissimo cellulare continua a indicare strade che ci portano sempre più lontano.
Alle sei, un’ora prima della presentazione, ci troviamo secondo Google Maps a un minuto dalla libreria. Un maledettissimo minuto, riusciamo a vedere il punto di arrivo praticamente di fronte a noi eppure la mappa ci suggerisce un giro allucinante. E a quel punto, quando il sole è ormai calato, con l’ansia pronta a esplodere da un momento all’altro, ci accorgiamo di un dettaglio insignificante: stavamo seguendo il percorso indicato per andare in macchina.
Questa è una di quelle situazioni che mi rendono tanto complicato viaggiare. Quando dico che determinate caratteristiche apparentemente insignificanti possono renderti la vita difficile, mi riferisco anche a circostanze del genere.
Stamattina, ad esempio, mi sono alzato presto col desiderio di fare una passeggiata per Ferrara approfittando dell’aria fresca e della splendida giornata di sole. Sono uscito di casa e ho cominciato a camminare guardando le casette, godendomi il rumore dei miei passi nel silenzio più assoluto, cosa che a Barcellona nemmeno alle cinque del mattino. Camminavo e nemmeno per un istante ho pensato a prendere qualche punto di riferimento, che so, il nome di una strada. A un certo punto mi sono sentito come Pollicino. Mi sono guardato intorno, un bar già visto, una serie di dettagli conosciuti, immagini che mi tornavano nitide alla memoria, ma ero totalmente incapace di piazzarle in un contesto.
Sempre la solita storia. Dettagli ovunque, mi ci perdo, nei dettagli. Il bar, l’edificio di mattoni rosso, il cartello di lavori in corso. Immagini sparse prive di connessione tra loro. Quando racconto di questa difficoltà col senso dell’orientamento la gente spesso sorride. Effettivamente, presa da sola, la cosa potrebbe essere anche divertente. Ma è come tutte le altre caratteristiche di questa condizione, non è solo quella, devi sommarla a tante altre e magari aggiungere l’ansia che sbuca all’improvviso, la sensazione di inadeguatezza, quel sottile senso di sconforto che spesso sta lì ad aspettare il momento giusto per farsi sentire.
Anche in questo caso, dal momento che è importante comprendere quanta diversità ci sia all’interno di una minoranza neurodiversa, devo sottolineare che non tutte le persone nello spettro autistico hanno problemi di orientamento. E questo mi fa tornare in mente la domanda di un signore sulla cinquantina che ieri, durante la presentazione del libro, non riusciva a capire come fosse possibile che ci fossero persone con caratteristiche tanto diverse in una stessa condizione, come sia possibile arrivare a una definizione dell’autismo quando c’è tanta diversità di comportamenti e modalità di interazione con la realtà.
La mia risposta, che non lo ha convinto più di tanto, è stata che non bisogna soffermarsi sulla manifestazione in sé, ma guardare alla causa di quella caratteristica. Il fatto ad esempio che ci siano alcuni autistici (come me) che non soffrono il freddo mentre altri non hanno problemi col caldo, o che per alcuni il contatto fisico scateni reazioni di panico mentre altri sono estremamente fisici, abbracciano, toccano, non deve ingannare. Alla fin fine, le peculiarità che ho appena elencato sono conseguenze di una caratteristica comune a tutti gli autistici, una differente modalità di percezione ed elaborazione sensoriale. Una diversità che, rispetto alla normalità espressa dalla maggioranza della popolazione, si può manifestare tanto con una ipersensorialità quanto con iposensorialità.
Lo stesso vale per i cosiddetti deficit sociali. E dico cosiddetti perché sono deficit solo se si prende per buono il punto di vista di una normalità alla quale tutti dovremmo conformarci. E’ possibile incontrare persone nello spettro autistico che non amano particolarmente la compagnia e altre che invece adorano stare con gli altri, proprio come accade per i neurotipici. Ma alla base ci sono sempre delle modalità di relazionarsi agli altri che, viste dall’esterno, possono sembrare bizzarre, e spesso sono tutte legate a una differente interpretazione delle dinamiche sociali o dei segnali non verbali.
Così abbiamo persone che parlano senza sosta dei loro interessi, incuranti degli sbadigli disperati dell’interlocutore, mentre altre parlano solo se ritengono di avere qualcosa di importante da dire, non rendendosi conto che magari, dall’altra parte, quei silenzi possano causare imbarazzo o tensione.
Ecco, come al solito mi sono perso. Volevo parlare della mia incapacità a orientarmi e sono finito da tutt’altra parte. Oggi per fortuna la presentazione è in una libreria vicino casa di mia sorella, e comunque mi accompagnerà lei, quindi non dovrebbero esserci imprevisti.
Per chi fosse a Ferrara e avesse voglia di fare una chiacchierata, alle 18:00 sarò alla libreria Altrove.
2 comments On Come perdersi in un bicchier d’acqua
Stesso problema a perdermi. E all’interpretare alcue instruzioni : https://www.fable.it/public/wordpress/2014/11/25/laspie-e-la-raccolta-delle-urine/
Ho letto l’articolo sul tuo blog. Mi ha divertito la descrizione del tuo dubbio, cose che solo tra noi possiamo veramente comprendere!