Da bambino mi piaceva il blu. Avevo una collezione invidiabile di puffi di gomma, volevo arrivare a 100 per riprodurre fedelmente il villaggio ma a un certo punto cominciai a sospettare che in commercio ne avessero messi meno della metà.
Non ero un grande appassionato di puzzle ma se mi capitava ci giocavo, insomma, se qualcuno me ne regalava uno ci trascorrevo volentieri un pomeriggio. Poi, quando mi sono trasferito in Olanda, con la mia amica e coinquilina Rosanna la sera spesso ci sedevamo sul pavimento del salotto, mentre fuori diluviava, e risolvevamo puzzle che poi venivano appesi alle pareti.
Eppure mai, in vita mia, mi sarei sognato di essere rappresentato dal colore blu o da un pezzo di puzzle. Certo, il parere di una sola persona conta fino a un certo punto, eppure nel mondo sono davvero tantissime le voci di persone autistiche che hanno fatto notare in vario modo quanto questi due simboli non ci rappresentino, ma la cosa pare non sortire alcun effetto.
E così, come se non bastasse vedere la nostra esistenza paragonata a un lockdown da COVID permanente, oppure leggere o ascoltare in televisione le nostre caratteristiche umane fraintese e osservate sotto una lente scura e negativa, ci tocca pure dover diventare dei puzzle blu puffo.
E allora vi domando: come vi sentireste a essere rappresentatǝ da un colore scelto da un’associazione che fino all’altro ieri non ammetteva persone autistiche nei propri organi direttivi? Cosa pensereste del fatto che il mondo intero vi vede come un enigma irrisolvibile, come un puzzle a cui manca un pezzo, esseri incompleti e misteriosi? Io non tanto bene.
Che sarà mai, tuonano le persone che non hanno mai dovuto vedere se stesse rappresentate in modi tanto distanti da come esse sentono di essere. Quante storie per un paio di simboli e poi, insomma, ormai ci sono questi, abbiamo fatto tutte le grafiche blu, sono anni che il nostro simbolo è il puzzle, e volete che semplicemente perché alla maggioranza di voi danno fastidio, noi dobbiamo cambiare tutto? E va bene, uno a un certo punto si rassegna pensando che durerà solo 24 ore.
Ma il problema non sono i simboli di per sé. La cosa che più ferisce è che nella giornata dedicata a sensibilizzare il mondo sulla nostra esistenza, a informare in modo corretto sulla nostra condizione, il nostro parere non conta nulla.
Basta andare a sbirciare i programmi e le locandine della stragrande maggioranza delle manifestazioni organizzate domani per l’autismo, per scoprire che la nostra presenza è pari a zero, e quando siamo invitati è per fare i nostri numerini, raccontare pubblicamente dei nostri meltdown e di quanto non ci piaccia mangiare certi cibi o ci infastidiscano i rumori. Ma quasi mai, per non dire mai, la nostra presenza viene messa sullo stesso piano di quella degli “esperti”, o dei familiari o degli educatori.
Ieri ho ricevuto la locandina di una manifestazione organizzata da un’associazione in cui saranno presenti personaggi famosi, direttori di reparti psichiatrici, attori, registi, giornalisti, magistrati, musicisti, tutti lì a parlare di noi. Delle nostre vite, di quanti deficit abbiamo e della nostra socialità carente e del dolore, tanto dolore, ma anche di quante possibilità abbiamo e possiamo lavorare da qualche parte, dai, metteteci a fare lavori ripetitivi e senza senso o sfruttate le doti informatiche che avete deciso voi che tuttǝ dobbiamo avere. E nemmeno una persona autistica, non c’è nemmeno unǝ rappresentante della categoria di cui si parlerà a dire la sua.
Immaginatevi un 8 marzo organizzato da uomini. Una giornata della donna in cui le donne non vengano invitate se non in rari casi, e in quelle occasioni solo per raccontare quanto è difficile essere figlia, mamma, casalinga e voler addirittura trovare un lavoro, signori, ma è incredibile, queste donne sono un fenomeno, vogliono perfino lavorare, rendersi utili alla società! Come sarebbe una narrazione di questo tipo? E se come simbolo utilizzassero la silhouette di un assorbente a rappresentare il mistero di quei giorni ricorrenti ogni mese? Non crediate che sia così diverso da quello che accade il 2 aprile. O almeno da come tantǝ di noi vivono questa giornata.
Allora domani, per favore, date dignità alla narrazione dell’autismo fatta dalle persone autistiche, andate a cercare quelle manifestazioni in cui siamo presenti e la nostra voce ha lo stesso valore delle altre. Perché nessuno dice che specialisti, famiglie ed educatori non debbano parlare di autismo, anzi, la loro voce è fondamentale, ma la nostra, quella di chi l’autismo lo vive in prima persona, deve anch’essa valere quanto le altre.
La narrazione di qualsiasi realtà è collettiva e non può prescindere dal racconto, dalle riflessioni, dalle aspirazioni e dai desideri di chi quella realtà la sperimenta sulla propria pelle quotidianamente.