I VITICCI DELLA COMUNICAZIONE

Oggi condivio con voi una traduzione che ho realizzato insieme a Andrew Dell’Antonio di un testo scritto dall’attivista e scrittore Cal Montgomery. È una emozionante metafora sulla comunicazione, non è stato facile tradurla cercando di mantenere intatto l’impatto emotivo dell’originale, per cui vi lascio il link al blog di Cal dove potrete leggere sia questo articolo che altri suoi scritti: https://montgomerycal.wordpress.com


I VITICCI DELLA COMUNICAZIONE

Per Mel Baggs e Phil Smith, che conoscevano e conoscono la comunione con i luoghi selvaggi meglio di quanto io possa immaginare.

Ricordi come hai imparato a comunicare? Anche se comunichi in modo piuttosto tipico è probabile che all’inizio non lo facessi alla perfezione, ma è andata pressappoco così: hai teso socialmente la mano, e ti hanno risposto.

Li hai guardati: ti hanno rimirato in adorazione.

Hai sorriso: ti hanno sorriso e salutata con la mano. “Ciao piccolina! Ciao! Oh, che bel visetto!”

Hai riso: hanno gioito delle tue risatine vezzose e hanno fatto le smorfie sperando che tu ridessi di nuovo.

Hai pianto: ti hanno abbracciato e confortato cercando di capire cosa ti rendesse infelice.

Di notte hai chiamato: si sono trascinati fuori dal letto, ti hanno preso in braccio e, con gli occhi annebbiati, ti hanno allattato e coccolato.

Hai emesso un suono o fatto un gesto, qualcosa che sembrasse avere un significato per loro standard – o almeno se ne sono convinti – e allora ci si sono aggrappati e ti hanno risposto: “Giusto! Mam-ma! Sai chi è tua mamma! Puoi dirlo di nuovo?”

Hanno celebrato i tuoi sforzi per coinvolgerli, li hanno amplificati, li hanno riflessi e si sono impegnati per capirli.

I primi germogli di vite di quello che sarebbe diventato un solido sistema di comunicazione, ridondante e resiliente, spuntavano da te che cercavi il sole della connessione umana e loro, che gioivano per ciò che vedevano svilupparsi, con cieca fiducia nella ricchezza del suolo da cui spuntavano quei viticci, li innaffiavano e li nutrivano; e tra voi sbocciò il sistema di comunicazione, e fiorì in un essere vivente forte e flessibile.

Sei un essere umano: lo sviluppo di un sistema di comunicazione adattivo e funzionale è stato per te un impulso. Una volta che hai appreso a comunicare con le persone a te vicine, quelle che ti conoscevano meglio, a poco a poco sei diventato sempre più bravo a comunicare anche con gli altri.

Attraverso la comunicazione hai sviluppato – in misura maggiore o minore – la capacità di connetterti agli gli altri. E poiché sei umano, anche quello è un impulso. Probabilmente qualche volta è stato ostacolato, ci sono persone tra le quali ti senti incompreso, non ascoltato. Ma allo stesso tempo sai che lo puoi fare.

O forse non è stato così facile o tanto gioioso. Forse il terreno era troppo sottile, o la pioggia troppo scarsa o la luce del sole troppo tenue. Forse coloro che avrebbero dovuto nutrirti non l’hanno fatto, per motivi dipendenti o indipendenti dalla loro volontà. Forse il sistema di comunicazione è cresciuto lentamente. Magari portava i segni di uno sviluppo difficile. Ma, di nuovo, se comunichi in modo piuttosto tipico – probabilmente combinando ciò che tu già possedevi all’istinto umano – quei robusti viticci hanno trovato ostinatamente il modo di crescere. La comunicazione, la connessione, dopo tutto, è un impulso umano e tu eri, tu sei, umana.

Certo, ci sono momenti in cui ti senti sola, momenti in cui fatichi a esprimere ciò che vorresti dire, quando quel germoglio viene maltrattato lì nel mezzo tra te e gli altri, afflitto dalla siccità. Eppure l’abilità fondamentale di impegnarti nel dialogo è lì, come un cactus in attesa della pioggia rara e preziosa.

Ma ora immagina che il tuo tentativo di comunicare con gli altri venga frainteso o passi inosservato, che venga ignorato o addirittura scoraggiato. Immagina se, invece di essere annaffiato (o almeno inumidito) con sostanze nutritive, quel germoglio di vite venisse irrorato di pesticidi o addirittura strappato alle radici. Immagina se qualcun altro, ad esempio un giardiniere paesaggista educato da coloro che coltivano giardini formali, decidesse come devi comunicare imponendoti quella decisione, eliminando qualsiasi germoglio che cercasse di crescere spontaneamente perché ai suoi occhi sono erbacce. Immagina se il tuo sistema di comunicazione, invece di crescere su un terreno fertile, venisse costruito in un laboratorio e innestato con la forza dentro di te, al posto di ciò che stava già crescendo ma a cui loro si opponevano. Immagina se i tuoi sforzi per comunicare e connetterti – perché si tratta della stessa cosa – non suscitassero reciprocità e gioia ma misura, valutazione, se venissero controllati e spazzati via col diserbante.

Non sto dicendo che la CAA (Comunicazione Aumentativa e Aternativa. N.d.T.) basata sul testo sia migliore di quella in forma di griglia. Non sto dicendo che un particolare sistema di comunicazione sia migliore degli altri. E nemmeno sto suggerendo di spingere verso questo invece di quello. Sto dicendo che un sistema di comunicazione dev’essere quello che mette radici nel terreno in cui vivrà e consente la massima espressione possibile di ciò che quel terreno già contiene.

Io comprendo il terrore che un genitore prova guardando al futuro e non riuscendo a immaginare come sarà la comunicazione con sua figlia. E comprendo anche la speranza che un professionista sembri offrire, quando propone sistemi per forzare la riuscita di ciò che un genitore si aspetta essere uno sviluppo naturale. Ma questa è la scelta sbagliata.

Un approccio alla connessione umana basato sulla paura e sul controllo è sbagliato. Non è possibile stabilire una connessione in questo modo. Deve invece essere organico. E sì, c’è un tempo per potare, un tempo spiegare a tuo figlio che non va commentato l’aspetto fisico degli altri, un tempo per istruire tua figlia sull’arte della stretta di mano invece che sull’abbraccio, un tempo per segnalare i sentieri che percorreranno coloro che verranno accolti, ma più teneri saranno i viticci di quel sistema di comunicazione, più rischiosa sarà la potatura.

Quando organizzi in anticipo il modo in cui comunicherà qualcun altro, pianifichi anche ciò che comunicherà, e quindi cesserà di essere comunicazione. Quando imponi un particolare modo di comunicare ma tagli via tutto ciò che non soddisfa i tuoi standard, allora ciò che sarebbe dovuto diventare una imponente sequoia viene invece costretta a essere un bonsai; e un bonsai, per quanto presentato artisticamente, non può essere paragonato a un albero che è cresciuto assecondando la propria natura. Ciò che sarebbe dovuta essere acetosella, se tormentata dal giardiniere perché al suo posto si aspettava delle violette, avrà foglie così danneggiate da non poter assorbire la luce solare della connessione. E quando il giardiniere sorride ai genitori e proclama: “Nulla di utile sarebbe cresciuto qui senza i miei sforzi, quindi celebrate questo gambo avvizzito che ho ricavato dalla terra che una volta era invasa dalle erbacce!” questo è causa di dolore, non di gratitudine.

Forse desideravi i tulipani e allora fai pure, seppellisci un bulbo o due e vedi cosa succede in primavera, ma se riesci a pensare solo all’assenza dei tulipani, allora ti perderai la dolcezza del caprifoglio.


BIOGRAFIA di Cal Montgomery
Cal Montgomery è un testardo attivista e scrittore autodidatta, anticonformista, disabile e transessuale il cui particolare interesse sono i diritti della disabilità. È un sopravvissuto all’istituzionalizzazione a lungo termine e non è in grado di usare il gabinetto in modo affidabile, ha ricevuto un’etichetta di disabilità intellettiva, ha una lunga storia di comportamenti autolesionistici e ha trascorso molti anni come adulto non verbale, sebbene oggi possegga una verbalità intermittente. Cal è prosopagnosico e non ha mai imparato a riconoscere i suoi genitori, ed è disprassico. Attualmente gli occorrono circa 2 ore per vestirsi, ed è una cattiva idea per lui provare a viaggiare in autobus senza un accompagnatore. Non è sotto tutela, con grande dispiacere di sua madre, un risultato che gli è costato grande fatica raggiungere.
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