Giacomo di cristallo

Non so quante volte ho riletto da bambino le Favole al telefono di Gianni Rodari, c’è qualcosa di confortante in quella scrittura semplice ed evocativa, nella brevità dei racconti e nell’apparente spontaneità dei messaggi che racchiudono.

Avevo dieci anni quando lessi per la prima volta la favola di Giacomo di cristallo, e da allora quel racconto continua ad affiorarmi alla memoria di tanto in tanto. Per chi non l’avesse letta, è la storia di un bambino trasparente di nome Giacomo. La prima volta che Giacomo disse una bugia, la gente vide una palla di fuoco dietro la sua fronte; un giorno un amico gli confidò un segreto e immediatamente una palla nera prese a rotolare senza sosta nel petto trasparente di Giacomo di cristallo. Poi, un giorno, salì al potere un tiranno che prese a fare fuori chiunque gli si ribellasse, e così tutti subivano in silenzio, impauriti dalla violenza con cui i dissidenti venivano messi a tacere.

Ma Giacomo era trasparente, i suoi pensieri di condanna per i soprusi del dittatore erano visibili a chiunque, e questo dava segretamente speranza ai suoi concittadini che, vedendo quei pensieri, vi si rispecchiavano segretamente. Tutto ciò non piacque al tiranno al governo, che fece imprigionare Giacomo. E qui, accadde una cosa incredibile: i muri della cella e dell’intera prigione divennero anch’essi trasparenti, e così la gente che passava poteva continuare a leggere i pensieri di Giacomo, e di notte il carcere splendeva di una gran luce che disturbava il sonno del tiranno.

La favola si conclude così: “Giacomo di cristallo, anche in catene, era più forte di lui [del tiranno], perché la verità è più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano”.

Ancora oggi, rileggendo quelle due pagine ruvide ormai ingiallite dagli anni, le immagini riprendono a scorrermi nella mente come in un film: il giovane trasparente, la gente che riesce a vedere ogni suo pensiero e quella morale anch’essa così cristallina, che la verità è più forte di qualsiasi cosa. Eppure da bambino questa favola mi turbò parecchio, perché io mi sentivo come Giacomo nel paese governato dal tiranno, qualsiasi cosa pensassi veniva interpretata male.

È stato proprio il racconto del ragazzo di cristallo a far scattare dentro di me la necessità di mascherare la mia vera essenza. Da quella lettura cominciai a riflettere su quanta parte delle mie difficoltà e di quei pianti che segretamente ogni notte bagnavano il mio cuscino, fossero il risultato di un incomprensibile malinteso. Perché quando stavo per conto mio, io ero felice e non mi sentivo diverso dagli altri, leggevo i miei libri, giocavo con la mia sorellina, scrivevo racconti da bambino e trascorrevo interi pomeriggi coi miei Lego e col Meccano.

Poi, quando uscivo nel mondo, era come se tutti vedessero cosa avevo dentro ma quello che vedevano non andava mai bene. Io davvero non riuscivo a capire dov’era il problema; certo, se anche gli altri fossero stati trasparenti come me, almeno avrei potuto vedere i loro pensieri e capire dov’era che sbagliavo, se proprio sbagliavo. Perché io il sospetto che non stessi davvero sbagliando un po’ ce l’ho sempre avuto, ma poi dai oggi, dai domani, e alla fine cominci davvero a credere che qualcosa in te non vada bene, e allora l’unica soluzione è smettere di essere trasparente.

Così con gli anni ho fatto di tutto per far scomparire Giacomo di cristallo, con grande fatica e soprattutto con dolore, perché fa male pensare che ciò che hai dentro è sbagliato, che devi nascondere agli altri chi sei veramente. Soprattutto perché, a prescindere da quanto potessi coprirmi la pelle con della pittura spessa e pesante, sotto rimanevo trasparente, costretto all’esilio dentro me stesso.

È stato difficile e ha lasciato cicatrici impossibili da rimarginare, questa cosa di dover apparire diverso da chi fossi. Qualcuno a volte mi ha rimproverato di mostrare del rancore verso chi continua a credere che i bambini “diversi” vadano costretti, “condizionati” a diventare come quelli “normali”. Non provo rancore, ma soffro pensando a quei bambini e agli adulti la cui identità viene calpestata quotidianamente, trattati come se la loro volontà, le loro aspirazioni e i bisogni che manifestano fossero sbagliati, da correggere, come se dentro fossero brutti, tanto brutti da dover imparare a essere diversi.

Faccio una premessa per evitare commenti inutili: badate che non parlo della necessaria educazione, del far comprendere quelle regole basilari per potersi muovere nella società, e non nego nemmeno che a volte sia necessario essere severi, fornire struttura, porre dei limiti. Ma ieri leggevo alcuni commenti sulle reti sociali e mi sono imbattuto nell’ennesima, triste dimostrazione di disinteresse nei confronti dell’identità di ciascuno, nell’ennesima manifestazione di superiorità di chi crede che le differenze vadano appiattite e l’unicità sia un male da sradicare alla radice. E mi è tornata in mente la favola di Giacomo di cristallo, imprigionato dal dittatore perché i suoi pensieri erano visibili a tutti e non andavano bene.

Io, da quando un po’ di tempo fa ho compreso i motivi della mia diversità, ho deciso che valeva la pena tornare a essere trasparente e ormai su di me certi atteggiamenti hanno perso molto del loro effetto tossico, anche se non tutto. E a dimostrazione del fatto che non serbo rancore verso chi ritiene noi autistici inferiori (perché, se così non fosse, non ci costringerebbe a comportarci in modo così differente), dirò che in realtà sono convinto che dietro a comportamenti coercitivi che causano in noi tanto dolore, spesso ci sono le migliori intenzioni.

E come ogni volta che penso ai danni causati dalle buone intenzioni, mi torna in mente la frase di un libro di Stephen King che fa così: “Si dice che la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni e io so che è vero. Lo so per amara esperienza personale. Quello che non so è perché. Come mai quando si cerca di fare la cosa giusta, così spesso si fa invece del male” (S. King, Dolores Claiborne)


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