La domanda

una finestra aperta sul mare

C’è un momento esatto in cui il tempo della vita si è squarciato creando in me una frattura, ed è l’attimo in cui ho capito chi ero. Non è che non sapessi: erano ormai mesi che la cosa sembrava più che chiara; ma quel pomeriggio in cui la psichiatra lo disse, confermandomelo, certificando che ormai era inutile andare a scavare ancora, che era anche troppo chiaro si trattasse di autismo, allora il mondo si è letteralmente fermato.

Il tempo non è quello scandito dai secondi. E quel pomeriggio, in un preciso istante, ho udito gli ingranaggi che tengono la terra in movimento stridere; una frenata brusca, niente più secondi; il mondo di fuori smise di gridare, non c’erano più macchine che rombavano per la strada né bambini che piangevano nei passeggini. Niente, solo silenzio, e una sensazione di pesantezza e pace. Una tranquillità pesante figlia della rassegnazione.

Poi, così dal nulla, una mattina piovosa di primavera in cui il cielo grigio e denso faceva presagire un umore tetro e una giornata scura e faticosa, un pensiero lieve mi alleggerì il petto. Più che un pensiero, una semplice, banale domanda.
«Ma tu» mi sono domandato, «hai provato a immaginare come saresti, se non fossi ciò che sei?».

No, non ci avevo mai provato. Anelavo a una normalità che il mondo mi buttava in faccia in ogni momento, una normalità che non mi è mai appartenuta e che ho conosciuto solo superficialmente e con grande sforzo. Sognavo di poter essere diverso dalla mia diversità, di assomigliare a persone nella cui mente non sarei mai potuto entrare per davvero, la cui visione del mondo è stata per me sempre un mistero. Ma io, in verità, non mi ero mai domandato come sarei stato, se non fossi stato ciò che sono.

Quella semplice domanda ha cambiato tutto. Io mi piaccio: c’è poco da fare. Se non penso a me in relazione a un mondo spesso superficiale e pronto a etichettare e giudicare le differenze, mi sento orgoglioso di essere ciò che sono. E anche i momenti difficili, le crisi, l’incapacità di comprendere certe cose e le differenze che tanto dolore mi causano costantemente, le guardo con tenerezza e affetto, con amore.

E se smettessi di provare a essere ciò che non sono?, mi sono domandato. In fondo, l’impressione di essere il mio stesso carnefice, nel tentativo di snaturare la mia essenza per compiacere gli altri, c’è sempre stata. Sì, è vero, forse sono diverso dagli altri, o forse no, ma se non avessi cercato per tutta la vita di nasconderle, certe differenze, se non avessi provato a pensare in un modo che non è il mio, probabilmente avrei sofferto meno.

E se lasciassi che fossero gli altri a trovarmi in quello che sono, con le mie stranezze, i miei monologhi interminabili e la voglia di rimanere solo all’improvviso? Se, dopo una vita intera spesa nel tentativo di essere uguale a loro, concedessi alle persone che incrocio sul mio cammino il privilegio di entrare a far parte del mio mondo, regalandogli la possibilità di vedere le cose da un’ottica differente?

Il mio dolore, parte di esso almeno, è proprio frutto di quella domanda che non mi ero mai posto. Io non avevo mai provato a immaginare cosa sarei, se non fossi quello che sono. E una volta cercata la risposta, tutto mi è apparso diverso, mio, intoccabile. Quello che sono è ciò che sono sempre stato e sempre sarò. Nel bene e nel male, che piaccia al mondo oppure no. L’illusione di questa esistenza sulla quale apriamo gli occhi ogni mattina come spettatori è tutta la nostra vita, e sta a noi decidere se rimanere, appunto, spettatori, o entrarvi dentro consapevoli della bellezza di questa effimera percezione.

Siamo diversi, eppure abbiamo tanto in comune da considerarci uguali. Siamo unici e nonostante questo ci assomigliamo.

È un’immagine illusoria, la vita, un breve scorcio su un panorama immenso, talmente vasto che nessuno mai potrà osservarne più di un pezzettino. E quando la finestra su quel meraviglioso panorama verrà chiusa, un giorno, niente avrà più importanza né valore. Non serviranno il denaro né gli amici, non ci sarà né gioia né dolore.

Il tempo non esiste, e le differenze sono anch’esse un’invenzione. Un modo per potersi orientare nel caos, per scremare e filtrare la vita. Io non ne ho bisogno. Forse se sono fatto così, se tutto ciò che mi sta intorno mi colpisce con tanta forza, se dentro di me c’è tumulto e ansia, ma anche tanta voglia di sapere, di amare e conoscere, va bene così. Perché mai dovrei desiderare di essere diverso? Perché non essere felice della mia unicità? Piaccia o no a chi delle differenze ne ha bisogno per orientarsi. Piaccia o no a chi deve camminare costantemente con una mano davanti agli occhi per pararsi la vista dinanzi alla meraviglia senza senso della vita.

Io no, forse è proprio questa la chiave di lettura. Se sono così, perché cercare di cambiare?

[Da Eccentrico, Autismo e Asperger in un saggio autobiografico, effequ]

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