Bilanci e auguri

una mano che tiene una stellina di capodanno accesa

Nonostante tutto, siamo arrivati alla fine di questo 2020 e il 31 dicembre, si sa, è giornata di bilanci e di auguri. Allora vediamo un po’ com’è andato il 2020 dal punto di vista della neuroatipicità.

L’arrivo del COVID-19 ha sconvolto le vite di tutto il mondo. Ci siamo trovate a dover rinunciare a un’esistenza della quale, fino al giorno prima, ci lamentavamo senza nemmeno sapere bene il perché, scoprendo che davamo per scontate le cose più importanti: le persone, la libertà, il lavoro, la possibilità di riempire le nostre vite di oggetti spesso inutili, o di sedere al bar con un’amica per chiacchierare senza pensieri.

E quando succedono cose come questa, quando improvvisamente il mondo che conoscevamo crolla all’improvviso, allora per quelle categorie di persone la cui vita era già prima più difficile di quella della maggioranza, tutto si complica ulteriormente.

Abbiamo letto e sentito la gente lamentarsi del lockdown, poi abbiamo letto le lamentele per quelle che vengono percepite come limitazioni ingiustificate alla libertà personale, anche se solo temporanee e per il bene della comunità. C’è chi grida alla dittatura sanitaria per l’imposizione di misure a salvaguardia della salute pubblica, senza rendersi conto di cosa significhi realmente la parola “dittatura”. E non discuto sulla bontà dell’operato dei vari governi e sull’efficacia di certe misure perché non ne ho sufficienti conoscenze, non sono un virologo né un epidemiologo (anche se con un epidemiologo ci convivo da oltre 16 anni).

Perché scrivo tutto questo? Perché mentre c’era chi si lamentava di non poter andare a prendersi una birra con gli amici, c’erano – e ci sono ancora oggi – tante persone che non hanno potuto vedere i propri genitori e le proprie famiglie. Parlo delle autistiche e degli autistici rinchiuse in strutture, barricate dentro per evitare contagi che, nonostante tutto, continuano a verificarsi. Parlo di madri e padri che mi hanno scritto messaggi raccontandomi che da mesi non possono riabbracciare le figlie e i figli isolati nelle RSD. O di quelle che, pur vivendo in famiglia, hanno dovuto rinunciare ad attività quotidiane e terapie spesso essenziali per il loro benessere.

E così, mentre aumentava la polarizzazione dell’opinione pubblica e si delineavano fazioni per vaccino sì contro vaccino no, ed esperti laureati all’università della vita lanciavano i loro anatemi contro il nuovo ordine mondiale colpevole di una cospirazione per controllare l’umanità, le persone autistiche e le loro famiglie, che già prima della pandemia vivevano situazioni difficili e si sentivano abbandonate dalle istituzioni, discriminate ed escluse dalla società in vari modi, hanno visto le proprie vite sprofondare nell’invisibilità.

In una situazione come quella che stiamo vivendo da mesi ci si sarebbe forse aspettati una maggiore solidarietà, e invece abbiamo ceduto ai più arcaici istinti di sopravvivenza, alla faccia dell’evoluzione culturale e del progresso sociale. L’uso di una retorica bellica che parla di guerra contro il virus, di battaglie e di nemici da sconfiggere, ha contribuito a una caccia all’untore che ha generato momenti di uno squallore avvilente. Madri e padri che accompagnavano la figlia a fare due passi per calmare una crisi o portavano al parco il figlio per evitare un meltdown, sono state insultate da cecchini appostati sui balconi o dietro la tastiera di un computer. Ne ho ricevuti tanti di messaggi, durante il lockdown, da parte di persone che hanno vissuto situazioni assurde, vittime della cattiveria suscitata da un’atmosfera di sospetto, dal “si salvi chi può”.

In queste prove di apocalisse che vanno avanti da mesi, il messaggio più avvilente ma assai diffuso è che adesso ci sono cose ben più importanti a cui pensare. E così un anno è trascorso e molto poco è cambiato per noi persone autistiche; soprattutto il cambiamento, quando è avvenuto, spesso è stato in peggio, come nel caso di coloro che sono ancora in isolamento nelle RSD e per le loro famiglie.

C’è poi la questione dell’autorappresentanza delle autistiche e degli autistici che è ancora un miraggio, e lo dimostra la quasi totalità dei programmi, delle leggi, degli emendamenti, degli stanziamenti a favore dell’autismo, anche di quelli applauditi dalla maggioranza neurotipica. Noi autistiche, le uniche a conoscere questa condizione in prima persona, noi che potremmo aiutare a sviluppare strategie e guidare interventi, veniamo raramente consultate, e quando questo avviene siamo utilizzate quasi sempre come mascotte, come a dire guarda, ci abbiamo messo anche l’autistico, stiamo facendo inclusione!

Il paternalismo della maggioranza neurotipica, che continua a non rendere partecipi noi autistiche e autistici dei processi decisionali in tutti gli stadi della progettazione e dello sviluppo degli interventi che ci riguardano, è umiliante e significa chiaramente che noi, “affetti” (come continuano a scrivere imperterriti i giornali) da autismo, siamo considerati ancora elementi difettosi della società. La persona autistica è una neurotipica mancata, la sua condizione non ha dignità propria e per questo non ha diritto a decidere se e come vuole rappresentare se stessa nella società, ma deve limitarsi ad accettare con gratitudine questa inclusione che scende dall’alto come un’elemosina.

Sicuramente molte persone diranno che questi non sono problemi urgenti, che adesso dobbiamo pensare alla guerra contro il nemico invisibile, all’economia, al benessere della maggioranza. Evidentemente hanno altre priorità, probabilmente non hanno figli o figlie rinchiuse da mesi in strutture, o che si sono viste interrompere da un giorno all’altro le loro routine e attività nei centri diurni. Forse non devono convivere quotidianamente con le barriere poste dalla società al raggiungimento delle stesse opportunità di cui loro, invece, possono godere senza nemmeno rendersene conto anche in momenti di difficoltà. Sicuramente non sanno cosa significhi essere considerata diversa, incapace, vedersi rappresentata costantemente come un essere difettoso oppure venire usato come un oggetto di ispirazione, essere definito “speciale”,”fragile” e trattato con paternalismo da chi non vuole rinunciare al privilegio di decidere chi includere nel proprio mondo e a quali condizioni.

A chi crede nei bilanci di fine anno, a chi pensa che un numero sul calendario possa fare la differenza, faccio l’augurio che il prossimo anno possa essere migliore di questo. A chi, come me, crede che domani sarà un giorno come un altro, auguro di contribuire a crearlo, un anno migliore, perché il contributo quotidiano di ognunǝ di noi è determinante nel migliorare o peggiorare la vita di persone anche sconosciute e distanti. A tutte e a tutti auguro di riflettere sulla necessità di aprirci alle differenze, di non cedere a questa dilagante narrazione della realtà che vuole separare, polarizzare, mettere le persone le une contro le altre. Ricordiamoci che il 2020, se non altro, ci ha mostrato quanto fragile sia la condizione umana senza alcuna distinzione di genere, età, religione, neurotipo, al di là di ogni categoria.

E tanti auguri a tuttǝ!

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