Oggi, 18 giugno, è la giornata dell’orgoglio autistico.
E’ un’occasione che noi autistici abbiamo per farci sentire, per spiegare agli altri che se davvero vogliono fare qualcosa per “combattere” l’autismo, allora devono smettere di compatirci o provare a cambiarci. E’ ora di comprendere che tanti dei nostri problemi sono tali perché visti da un’ottica sbagliata, da quella di chi non si domanda il perché delle differenze, di chi crede che esista solo un modo corretto di essere: il suo.
Il senso della giornata dell’orgoglio autistico è assai diverso da quello del 2 aprile, la giornata della consapevolezza autistica. Il 2 aprile è un giorno in cui tutto il mondo parla dell’autismo e lo fa secondo i canoni neurotipici (ne ho già scritto qui). Noi autistici veniamo compatiti, ci sentiamo chiamare malati, ci viene ribadito che agli occhi del mondo la nostra condizione è un “disturbo” caratterizzato da una quantità impressionante di “deficit”.
Tanti si sentono in diritto di parlare per noi, spesso (spero) in buona fede. Si fa a gara a chi riesce a colorarsi più blu degli altri, le reti sociali, i giornali e le televisioni pullulano di pezzi di puzzle (altra metafora, quella del puzzle, che suggerisce una mancanza, qualcosa da risolvere). Il 2 aprile parlano tutti di autismo tranne gli autistici. Basta guardare la televisione o leggere i giornali, non serve una laurea in statistica per notare che la presenza dei diretti interessati, nella giornata della consapevolezza dell’autismo, è irrilevante.
Il 18 giugno non è così. Questa data è stata scelta dalla comunità autistica per celebrare la propria diversità, una giornata voluta dagli stessi autistici e non da associazioni nei cui consigli direttivi gli autistici non sono nemmeno ammessi.
Niente puzzle o monumenti colorati di blu ma il simbolo dell’infinito di color arcobaleno a rappresentare la diversità dello spettro, le infinite variazioni possibili della diversità.
Il 18 giugno ci si riunisce, ognuno secondo le modalità che preferisce (anche solo virtualmente o con un pensiero) per ribadire che siamo persone, che in quanto persone abbiamo una dignità. Vogliamo ricordare le torture a cui sono stati sottoposti tanti autistici soprattutto in passato, i metodi di “cura” disumani, gli individui internati nei manicomi, lager infernali dove tanti trascorrevano le loro esistenze privati della dignità di persone, umiliati e nascosti al mondo.
Sono orgoglioso di non essere una persona “con autismo” ma un autistico, perché se mi si togliesse l’autismo non saprei chi sono in realtà. Sono orgoglioso di essere differente, nonostante certe differenze siano state fonte di difficoltà e spesso di dolore profondo, perché grazie a esse riesco a guardare il mondo da più angolazioni.
Nel giorno in cui gli autistici, i diretti interessati, parlano della propria condizione, non ci sono articoli sui giornali, raccolte di fondi di questa o quella associazione, appelli strappalacrime sulle reti sociali o in programmi televisivi. No, perché un autistico che parla di sé e per sé è oggi ancora guardato con sospetto. Meglio le storie tristi di famiglie distrutte dalla sciagura, di persone che non accettano la propria condizione, meglio che di autismo ne parlino gli altri.
Il cambiamento culturale necessario alla comprensione delle diversità, tra cui anche la neurodiversità, non può prescindere dal contributo in prima persona del diverso, di chi la condizione di esclusione la vive sulla propria pelle ogni santo giorno. Se non cominciamo noi per primi a far comprendere le nostre istanze più profonde, non possiamo poi aspettarci che il mondo smetta di vederci come dei poveri malati da compatire, da aiutare a diventare almeno un po’ più normali.
Buona giornata dell’orgoglio autistico!