Ecolalia, portami via…

Da bambino ricordo che mi piaceva ripetere parole, suoni e rumori che captavo intorno a me. Nella maggior parte dei casi non era una ripetizione cosciente, ma la avvertivo come necessaria. Ora, capisco che l’idea di necessità applicata alla ripetizione del cigolio di una porta può apparire strana, ma se non ripetevo quel suono o la parola che in un determinato momento si imponeva alla mia attenzione, mi sentivo esplodere.

Mi capitava anche di ripetere frasi intere. Per lo più erano frasi tratte da film o sketch televisivi, in special modo battute umoristiche. Io non ho mai avuto una particolare predilezione verso l’umorismo raffinato e cerebrale, spesso non riesco a capirlo e, quando alla fine ho messo insieme i pezzi e sono riuscito a comprendere che quella sequenza di eventi dovrebbe far ridere, il divertimento è già bello che andato.

Da ragazzino adoravo i film demenziali invece, quelli davvero stupidi come l’aereo più pazzo del mondo o una pallottola spuntata. Anche lì c’erano battute che a volte mi sfuggivano, ma l’umorismo semplice di quei film era in generale estremamente immediato e accompagnato da immagini fortemente esplicite che in molti casi spiegavano visivamente quello che linguisticamente sarebbe rimasto per me un mistero.

Di queste due tipologie di ripetizione, una è rimasta ancora oggi e continua a essere piuttosto difficile da controllare. Ancora oggi infatti mi sorprendo (o mi sorprendono) a ripetere il verso di un cane che abbaia o una parola detta da qualcuno per la strada, esattamente con la stessa inflessione e tono, mentre saranno anni che non ripeto più frasi di film, o almeno non con la frequenza con cui lo facevo da ragazzino.

E allora, cerchiamo di capire perché, come funziona l’ecolalia, questa necessità di ripetere parole e suoni che moltissimi autistici annoverano tra le loro caratteristiche. E, giusto per chiarire, uso la parola “necessità” con intenzione, nel senso che non è un capriccio o un vezzo ma, nella stragrande maggioranza dei casi, un bisogno con una sua funzionalità.

Il primo a parlare di ecolalia nell’autismo fu proprio Leo Kanner, lo psichiatra americano che studiò l’autismo negli Stati Uniti l’autismo già negli anni ‘40 del secolo scorso. Secondo Kanner, l’ecolalia era un fenomeno principalmente disfunzionale che, in alcuni casi, poteva avere invece una sua utilità in quanto rappresentava una risposta affermativa all’interlocutore. In pratica, il bambino invece di rispondere di sì a una domanda o a una richiesta, ripete una parola o una frase per confermare di aver compreso. «Metti a posto i Lego nella scatola» dice la mamma guardando la confusione sul pavimento, e il bambino risponde: «Nella scatola», raccogliendo i mattoncini da terra.

E fino a qui, ci siamo. Ma esiste la possibilità, confermata sia dai racconti in prima persona di diversi autistici che da studi[1],[2], che in generale il fenomeno dell’ecolalia sia più funzionale di quanto si creda, e adesso vedremo brevemente in che modo ripetere parole o suoni può avere una sua utilità nella vita di un autistico.

Intanto, possiamo suddividere l’ecolalia in immediata e ritardata. Quella immediata, è la ripetizione di suoni e parole immediatamente dopo averli uditi, mentre la ritardata, ovviamente, avviene dopo più tempo, magari giorni o settimane dopo aver udito una frase.

Il discorso è piuttosto complesso perché si tratta di fenomeni che non hanno una spiegazione unica ma possono avere funzioni molto diverse. In generale, si tende a suddividere le ripetizioni in interattive, cioè che hanno un fine comunicativo, e non-interattive. Non trovo utile la distinzione in ecolalia funzionale e non-funzionale che spesso sostituisce le definizioni precedenti in quanto non necessariamente la mancanza di un fine comunicativo è anche sinonimo di non utilità.

Molte volte infatti ripetizioni di suoni o parole che non sembrano avere nessun significato, hanno una funzione ben precisa per l’autistico, spesso autostimolatoria, come alcune stereotipie motorie. A me capita ad esempio di trovarmi a ripetere istintivamente suoni o parole che in determinati momenti sembrano risaltare su tutti gli altri e che potrebbero essere fonte di sovraccarico sensoriale.

Una persona che in un luogo pubblico parla con un tono di particolarmente forte e acuto e con un’inflessione molto marcata cattura la mia attenzione in modo pericoloso, genera immediatamente tensione e istintivamente comincio a ripetere alcune delle sue parole imitandone perfettamente il tono e l’inflessione. Il risultato è duplice: ai fini della mia tranquillità interiore, funziona perché ho la sensazione di poter in qualche modo controllare quello stimolo uditivo che, se percepito ancora fuori dal mio controllo, avrebbe probabilmente innescato una reazione di crisi.

Il problema è che a questo aspetto positivo se ne associa uno negativo dal punto di vista sociale, e cioè che la persona potrebbe accorgersene e pensare che la sto prendendo in giro (cosa assolutamente falsa, soprattutto perché a volte la ripetizione avviene in modo del tutto automatico) o, cosa non meno fastidiosa, che la gente intorno mi guardi come se avesse visto un marziano.

La stessa cosa può capitarmi con dei rumori particolarmente fastidiosi o che sono fuori dal mio controllo come il rombo di una motocicletta, un cane che abbaia, i freni di un’automobile o il cigolio di una porta. La ripetizione sembra annullare l’effetto sorpresa, quella insidiosa sensazione di non poter controllare gli stimoli che ci bombardano costantemente.

Ricordo che un giorno stavamo uscendo dalla metropolitana per andare a trovare un’amica e davanti a noi c’era un gruppo di scozzesi dall’accento particolarmente marcato che parlavano a voce molto alta. Ed erano degli energumeni dall’aria poco amichevole. Non appena li ha sentiti parlare Maurizio, che era con me in quel momento, mi ha stretto il braccio e ha detto sottovoce: «Non ripetere. Tieni a bada la tua ecolalia perché altrimenti questi ci fanno male», indicazione che fu sufficiente a bloccare la prima ripetizione che stava già partendo senza che quasi me ne rendessi conto.

In alcuni casi l’ecolalia può avere una funzione di prova, quasi come se uno ripetesse tra sé e sé un discorso o una frase prima di pronunciarla ad alta voce. In questi casi le ripetizioni possono essere molte, rapide e con tono e inflessione differente, come se si stesse cercando quello giusto per comunicare correttamente il senso della frase o della parola.

Altre volte una parola o una frase possono essere associate a un oggetto o a una situazione in modo anche non immediato, almeno a un osservatore esterno, in una forma di ecolalia ritardata. Un bambino potrebbe ad esempio vedere per strada il manifesto pubblicitario di una marca di biscotti e attaccare improvvisamente la canzoncina: «Sì con riso, senza lattosio…». Se nessun altro ha notato il manifesto con la pubblicità dei biscotti, ovviamente la ripetizione della canzoncina può apparire come priva di senso.

Un’altra manifestazione ritardata dell’ecolalia è la ripetizione di determinate parole per dare un’ordine a se stessi. Per alzarmi dallo sgabello del pianoforte e andare a preparare la cena, posso dirmi a voce alta: «in piedi!», oppure dirigermi verso il pensile dei bicchieri ed esclamare: «Bicchiere!» per ricordarmi cosa stessi facendo in cucina. Anche qui, quando c’è gente intorno la cosa può essere problematica, e questo ci riporta sempre al significato culturale e sociale dello stigma legato a comportamenti differenti dalla norma, anche quando hanno un motivo ben preciso di esistere. Spingendoci un poco oltre potremmo riflettere sul fatto che in moltissimi casi la stessa idea di “disabilità” assume il significato di “dis-abilità”, cioè mancanza di abilità, proprio quando è messa a confronto con quella che normalmente viene vista come “abilità” solo perché rientra nei comportamenti della maggioranza. Ma qui il discorso è lungo e complesso, ed è uno spunto per articoli futuri.

A volte l’ecolalia consiste nella ripetizione di intere frasi o parole spesso prese da film, cartoni animati, libri, canzoni o spot pubblicitari e può avere una chiara funzione comunicativa. La persona infatti può rispondere a una domanda o a una situazione utilizzando una frase che abbia un senso in quella particolare circostanza. Alla madre che domanda il perché di una determinata azione, il figlio potrebbe rispondere: «Tu non sai niente, Jon Snow» ripetendo la battuta di una serie televisiva per spiegare alla madre che non ha capito i motivi alla base di quel gesto.

Ci sono molti motivi che fanno pensare a una funzionalità piuttosto alta delle ecolalie tanto immediate come ritardate. Anche in questo caso, come non mi stancherò mai di scrivere e di dire, è fondamentale domandarci cosa potrebbe esserci dietro a comportamenti che stentiamo a comprendere. Bisogna eliminare il pregiudizio che vuole come difettoso ogni comportamento o azione che non rientrino nei labili confini di una normalità puramente culturale ed effimera.

È proprio grazie all’esercizio della comprensione di ciò che non vediamo che apprendiamo ad aprirci alle differenze, entrando così in comunicazione con realtà, culture e stili di vita che, finché li etichettiamo stupidamente e superficialmente come sbagliati, sembrano non avere alcuna giustificazione ai nostri occhi. È importante inoltre essere coscienti che non vedere qualcosa non garantisce che quella cosa non ci sia, ma spesso semplicemente che non abbiamo cercato bene o che, a volte, i nostri mezzi e criteri di ricerca non sono sufficientemente raffinati e sviluppati. O, semplicemente, che non vogliamo vedere.

NOTE

[1] Prizant, B. M., & Duchan, J. F. (1981). The Functions of Immediate Echolalia in Autistic Children. Journal of Speech and Hearing Disorders, 46(3), 241. doi:10.1044/jshd.4603.241

[2] Prizant, B. M., & Rydell, P. J. (1984). Analysis of Functions of Delayed Echolalia in Autistic Children. Journal of Speech Language and Hearing Research, 27(2), 183. doi:10.1044/jshr.2702.183

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