Privilegi, potere, attivismo

Una bambina con un piumino blu tiene in alto un cartello con su scritto: love not hate

Il comunismo, la dottrina che mira alla proprietà comune e alla distribuzione collettiva di beni e mezzi di produzione, rimane un’utopia. Davanti alle crescenti disuguaglianze economiche e sociali del nostro tempo, è chiaro che non solo una equa distribuzione della ricchezza appare irrealizzabile nel sistema attuale, ma anche la semplice riduzione delle disuguaglianze è un obiettivo difficile da raggiungere. Forse c’è qualcosa di vero nel principio neoliberista per cui l’individuo è solo e agisce egoisticamente per la propria sopravvivenza e per il miglioramento delle proprie condizioni di vita oppure, dopo oltre quarant’anni di lavaggio del cervello, abbiamo creduto così tanto a questa storia da trasformarla in verità. Sia quale sia la causa, il risultato è che oggi quasi nessuno è disposto a cedere anche una piccola parte dei propri averi in favore di chi non ha nulla.

Qui non gioca solo l’egoismo di cui parla il neoliberismo, ma anche l’idea che se una persona non ha nulla, se non ha fatto carriera, se non ha un lavoro o il suo lavoro non le permette di mantenersi dignitosamente, è colpa sua. È un pensiero diffuso che chi ha, chi possiede abbastanza o più che abbastanza, merita il proprio successo mentre chi non ha, d’altra parte, merita il fallimento. Influenza del semprevivo darwinismo sociale (l’idea che le dinamiche darwiniane di lotta per la sopravvivenza e selezione naturale si applichino anche alle società umane), oppure merito di quel meccanismo che in psicologia è definito “errore fondamentale di attribuzione”, per cui tendiamo a responsabilizzare l’altro per la situazione in cui si trova mentre attribuiamo a fattori esterni le nostre difficoltà personali.

Eppure sappiamo che le persone “che crescono in famiglie povere hanno molte più probabilità di essere povere nella prima età adulta. Inoltre, le possibilità di essere poveri nella prima età adulta aumentano notevolmente con l’aumentare del tempo trascorso vivendo in povertà durante l’infanzia”[1], perché la situazione nella quale una persona si trova non dipende necessariamente dalle scelte che fa, e anche le decisioni che prende sono comunque influenzate dalla situazione in cui quella persona si trova.

L’idea che spontaneamente chi possiede di più possa cedere una parte dei propri averi a chi non possiede abbastanza per vivere, è una pura illusione e ce lo dimostra quotidianamente la pervasività delle idee neoliberiste, che viviamo quasi come meccanismi naturali, inevitabili. Ma questo attaccamento non riguarda solo i beni materiali: le persone raramente sono disposte a cedere di un millimetro anche sui propri privilegi.

Il privilegio è un vantaggio di cui gode una persona o un gruppo sociale rispetto ad altri. Il privilegio è anche un diritto di cui alcune persone godono a discapito di altre che ne vengono private, e una caratteristica del privilegio è l’inconsapevolezza. Le persone privilegiate infatti sono spesso inconsapevoli di essere avvantaggiate rispetto ad altre proprio perché, grazie al vantaggio di cui godono, di certe cose non si sono mai dovute preoccupare. Se non sei disabile difficilmente ti domanderai se funziona la rampa per le carrozzine sull’autobus; se non sei neurodivergente non dovrai sperare che gli esami all’università prevedano modalità alternative a quelle standard; se sei eterosessuale non ti preoccuperai di vivere apertamente la tua vita sentimentale né dovrai temere di essere discriminato per averlo fatto; se sei uomo non ti preoccuperai della tua carriera nel momento in cui dovessi avere dei figli.

Chi gode di un privilegio lo fa nel silenzio perché il privilegio viene dato per scontato finché non viene nominato, indicato, messo in discussione dall’esterno. Solo allora ci si accorge di possedere qualcosa che ad altre persone è negato, e l’ingiustizia si manifesta agli occhi di chi, anche inconsapevolmente, contribuisce a perpetrarla: se davvero la vita è una competizione per la sopravvivenza, allora chi gode di uno o più privilegi gareggia in vantaggio, compete in modo sleale.

A questo punto è chiaro comprendere perché, quando si parla di privilegio, la maggior parte delle persone, anche di quelle apparentemente più aperte e altruiste, si mette sulla difensiva negando l’evidenza. E basta con questa cosa dei femminili professionali, del neutro, stiamo distruggendo la lingua, dicono. E insomma, cosa volete di più, vi abbiamo perfino concesso le unioni civili, ci spiegano. Ci sono differenze biologiche, mica tutto è un costrutto sociale, i maschietti blu e le femminucce rosa, i maschietti pistole e macchinine, le femminucce bambole e carrozzine, urlano con indignazione.

Non possiamo aspettarci che da sole le persone privilegiate cedano parte dei propri privilegi in favore di chi non ne ha, basta guardare cosa accade all’interno delle stesse minoranze, dove si scatenano guerre tra poveri, classifiche tra marginalizzazione di serie A e serie B, perché il privilegio è sottile, ogni persona ha sempre qualcosa in più rispetto a un’altra. Un maschio gay bianco è sicuramente privilegiato rispetto a una donna lesbica nera, che è probabilmente avvantaggiata sotto altri aspetti rispetto a un ragazzo eterosessuale disabile. Lo svantaggio è intersezionale, le discriminazioni si sovrappongono, si fondono, a volte tendono a moltiplicarsi.
Per questo motivo è fondamentale l’attivismo. Perché è grazie ai movimenti di attiviste e attivisti per i diritti delle minoranze che oggi il voto non è più un privilegio maschile, che le persone omosessuali non vengono più incarcerate in molti paesi (in altri ancora sì, e in alcuni addirittura uccise). È grazie alle lotte dell’attivismo nero se nella cosiddetta società occidentale è stata abolita la segregazione razziale. Se le minoranze non manifestassero apertamente le ingiustizie che subiscono reclamando un’equa distribuzione dei diritti, difficilmente la parte privilegiata della popolazione si accorgerebbe dei privilegi di cui gode, figuriamoci se spontaneamente deciderebbe di cederli, di distribuire il potere che da essi deriva tra tutta la popolazione.

Perché il privilegio è anche potere, e il potere garantisce migliori possibilità rispetto a chi non ne ha o ne ha di meno. Bisogna far notare gli squilibri di potere che percorrono la nostra società, l’iniquità con cui i diritti sono distribuiti tra classi sociali e tra persone con caratteristiche diverse appartenenti alla stessa classe sociale. Una società può crescere e prosperare solo se questi squilibri si riducono, e chiunque si opponga al percorso verso una parità dei diritti e delle opportunità, dichiara di non essere disposto a cedere i propri privilegi, pensa di meritarsi la posizione di vantaggio nella quale si trova rispetto ad altre persone, vuole che il mondo continui a essere un luogo di ingiustizie finché a subirle non sarà lui, o lei.

NOTE
[1] Wagmiller Jr, R. L., & Adelman, R. M. (2009). Childhood and intergenerational poverty: The long-term consequences of growing up poor. National Center for Children in Poverty. https://www.nccp.org/publication/childhood-and-intergenerational-poverty/

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