“… mi portai alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato che s’ammorbidisse un pezzetto di madeleine. Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. […] Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? Sentivo che era legata al sapore del tè e del dolce, ma lo superava infinitamente, non doveva condividerne la natura.”
Così Marcel Proust, in una delle più citate pagine della letteratura[1], descrive quella che viene definita memoria involontaria, un’esperienza che può coinvolgere più sensi, e che sicuramente abbiamo provato quasi tutti nella nostra vita. Ad esempio, il profumo di una sconosciuta incrociata nell’autobus che improvvisamente ci rimanda all’odore della nostra maestra delle elementari o di una vecchia zia, e riviviamo momenti del passato, immagini vivide di un periodo racchiuso ormai esclusivamente nella nostra mente.
Le immagini, quindi, non sono necessariamente solo visive. Possono esistere immagini tattili o uditive, olfattive e gustative; il gusto di un di un dolce, come nella scena descritta da Proust, può richiamare alla mente una particolare immagine estremamente concreta, una sensazione specifica che ha la stessa forza di un’immagine visiva.
Questa caratteristica della memoria involontaria che è comune un po’ a tutte le persone, diventa più rara nei neurotipici quando è applicata anche alla produzione volontaria del pensiero, mentre è piuttosto diffusa nell’autismo.
Si sa che una buona parte degli autistici possiede una modalità di pensiero visiva, estremamente concreta, la quale fa sì che nella mente i pensieri scorrano come fotogrammi di un film o a volte immagini isolate. In pratica, se io voglio cucinare un piatto di pasta al pomodoro, prima di tutto mi salta in mente l’immagine del piatto di rigatoni (o di spaghetti o di penne, dipende da cosa desidero in quel momento) nel piatto bianco ricoperti di pomodoro e parmigiano.
Poi, una volta in cucina, prima ancora di avere cominciato a cucinare, parte il film dell’intero processo. E allora vedo in modo estremamente chiaro la padella, la mia mano che versa l’olio, lo spicchio d’aglio che viene pulito, tagliato e gettato nell’olio caldo. Ma qui avviene un’altra cosa che mi ha fatto molto riflettere su quanto il pensiero visivo non sia in realtà esclusivamente visivo ma, più in generale, sensoriale. Perché dopo aver visualizzato l’aglio che sfrigola in padella, io ne sento anche il profumo.
Allo stesso modo, quando ascolto della musica, nella mia mente si creano immagini sonore, qualcosa che ho difficoltà a definire ma è legata alla qualità del suono, alla sua altezza, volume, timbro e ritmo. Il suono ha per me una forma e un peso specifici, e queste forme vanno a fondersi, a volte a incastrarsi una nell’altra (specie se si tratta di musica polifonica) oppure, quando si tratta di melodie particolarmente cantabili e lunghe, sono forme elastiche che si stirano insieme alla linea melodica.
Riuscire a pensare utilizzando immagini sensoriali è stato per me molto utile dal punto di vista musicale. Ho sempre avuto una grande facilità nell’apprendere a memoria brani anche estremamente complessi spesso ricordando visivamente ogni singola nota nello spartito o direttamente sulla tastiera, come in una fotografia.
Nel lavoro come costruttore di clavicembali, invece, l’utilità maggiore stava nel riuscire a simulare come in un computer ogni singola fase di lavorazioni anche estremamente complesse prima ancora di effettuarle. Io letteralmente “vedevo” la tavola di tiglio grezzo passare nella piallatrice, poi vedevo il setup della sega circolare, l’inclinazione della lama, il taglio, la piallatura successiva e così fino alla realizzazione del pezzo. Ogni errore saltava fuori durante simulazione, rendendo estremamente efficiente il processo di costruzione. Ovviamente, anche qui, insieme alle immagini estremamente nitide riuscivo a sentire il rumore dei macchinari, l’odore del legno appena tagliato, la superficie della tavola liscia al tatto dopo la piallatura. Pensiero sensoriale, immagini sensoriali.
Essendo questo uno stile di pensiero estremamente concreto, può dare problemi quando invece si ha a che fare con concetti astratti (come ad esempio società, chiesa, stato ecc.).
Anche in quei casi, per riuscire a formarmi un concetto nella mente, per poter pensare alla “società”, non posso fare a meno di produrne un’immagine concreta che, nel mio caso, è quella di una folla di persone vista dall’alto e che riempiono le piazze e le strade di una città.
Una cosa interessante, è che il pensiero estremamente concreto e legato a immagini è per me incredibilmente utile nella scrittura. Io ho bisogno di immaginare le parole nella mia mente prima di poterle scrivere, mi ascolto parlare creando un’immagine uditiva e visiva, e allora semplicemente trascrivo un discorso già avvenuto nella mia mente. Ma questo discorso è anch’esso dipendente da immagini precise, spesso da sequenze di immagini che assomigliano a un film multisensoriale e che va tradotto in parole. Queste parole inoltre devono essere estremamente precise per trasmettere in modo fedele quella specifica immagine che si è precedentemente materializzata nella mia mente.
Questa cosa però non è stata sempre un vantaggio. Quando frequentavo la scuola, pensare in modo differente mi ha causato non pochi problemi perché i metodi didattici sono tarati sulla maggioranza delle persone, che normalmente ha un pensiero più astratto, capace di formare concetti immateriali, non legati necessariamente a un’immagine o a una sensazione precisa.
Per me invece è sempre stato più pratico apprendere durante le lezioni in classe o registrate in video, perché sono accompagnate da immagini, dal suono della voce, dalle slide, fotografie e altro materiale. In pratica, se coinvolgono più sensi riesco a manipolare meglio i concetti, tradurli in realtà concrete che possano poi essere immagazzinate nella memoria. Apprendere studiando sui libri mi costa molta più fatica in quanto devo prima “tradurre” concetti astratti in immagini concrete.
Allo stesso modo, sul lavoro riesco a funzionare in modo incredibilmente efficiente solo se lasciato libero di utilizzare metodi e strategie che si adattino alla modalità di pensiero che mi caratterizza. Invece di fare lunghe e inutili relazioni scritte, ad esempio, io lavoro con schemi grafici che stimolano il pensiero associativo, la capacità di partire dai dettagli e metterli in relazione tra loro in modo non lineare.
Un altro “adattamento” a cui sono andati incontro i miei colleghi è di non farmi richieste confuse in un mare di parole inutili. Ormai tutti sanno che è preferibile inviarmi una email a inizio giornata con i punti che richiedono la mia attenzione segnati in modo chiaro, visivamente separati tra loro con elenchi numerati e in cui le parole chiave siano scritte in grassetto. Nessuna parola di circostanza e una scrittura diretta e visivamente immediata assicurano una migliore comprensione dei compiti da svolgere sul lavoro.
È importante comprendere l’importanza di adattare le metodologie didattiche, le dinamiche e le strategie aziendali alle differenti tipologie di apprendimento e ai vari stili cognitivi. Pensate a quanto possa essere fondamentale l’utilizzo di supporti visivi per lo sviluppo di una comunicazione efficace con gli autistici non verbali.
Bisogna cercare sistemi personalizzati che permettano a coloro che hanno modalità di pensiero differenti di avere le stesse opportunità dei loro compagni e colleghi “tipici”. Avere un’intelligenza che funziona utilizzando immagini sensoriali, più concreta ma allo stesso tempo sistematica e associativa, avere bisogno di supporti visivi come schemi, fotografie, figure o video per apprendere ed elaborare, non vuol dire essere difettosi ma semplicemente utilizzare mezzi differenti per arrivare a un risultato.
In un interessante studio scientifico[2] ci viene spiegato che: “Mentre la ricerca precedente mirava a scoprire in che modo deficit particolari potevano spiegare vantaggi relativi, recenti studi sistematici indicano che il miglioramento percettivo nell’autismo riflette un vantaggio distribuito in una vasta gamma di compiti, tra cui la discriminazione percettiva e il rilevamento di schemi, nonché funzioni cognitive che fanno affidamento sugli input percettivi, compresa la memoria percettiva e l’attenzione agli obiettivi percettivi”
L’errore, come sempre, sta nel credere che qualsiasi tipologia di funzionamento (tanto sociale come cognitivo, emotivo, sensoriale) che si discosti da quello della maggioranza debba essere inferiore e, quindi, stigmatizzato e riportato verso il funzionamento “normale”, anche con metodi coercitivi.
A volte un piccolo adattamento nelle dinamiche scolastiche e professionali si traduce in una grande conquista per quelle persone che, altrimenti, verranno sempre viste come malfunzionanti solo perché non hanno avuto la possibilità di esprimersi coi mezzi e i tempi a esse più congeniali.
NOTE
[1] Marcel Proust, Du coté de chez Swann. 1, Paris, Gallimard, 1919
[2] Soulières, I., Zeffiro, T. A., Girard, M. L., & Mottron, L. (2011). Enhanced mental image mapping in autism. Neuropsychologia,49(5), 848–857.