L’importanza di creare consapevolezza sull’autismo

il simbolo dell'infinito con i colori dell'arcobaleno, che simboleggia la neurodivergenza

Oggi dovevo essere a Torino per celebrare la giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo insieme alle amiche e agli amici di Neuropeculiar, insieme ad Angsa Torino e al Gruppo Asperger, a tante persone autistiche, a familiari, genitori, specialisti. E invece sono a casa, a Barcellona. Questa volta non ce l’ho fatta, a partire, perché per me viaggiare non è mai facile, ho bisogno di tenere sotto controllo tante cose, troppe. Devo crearmi ogni volta una routine che renda l’incognita del viaggio più gestibile, perché quando sono sotto stress le mie funzioni esecutive se ne vanno a farsi benedire e allora mi perdo per la strada, rischio di perdere aerei e treni, mi prendono meltdown in aeroporti e stazioni perché il casino, le luci, il viavai di gente di certi posti è insopportabile. Ho perfino difficoltà a entrare in un bar a comprare un panino, in certe situazioni, perché i posti e le persone che non conosco mi provocano uno stato di ansia costante e insostenibile. Tutto questo, con un dispendio di energie e forze tremendo, riesco a gestirlo se sto bene, ma questa volta ero già troppo stanco e ho letteralmente fatto il botto.

In momenti come questo, sebbene non ci sia molto da fare se non accettare la situazione e cercare di riposare, risale a galla quella sensazione di inadeguatezza che mi ha accompagnato per tutta la vita. È un pensiero subdolo perché in fondo lo so, che devo fare i conti con il modo in cui sono fatto, eppure è difficile ammettere di non essere come gli altri. Non è facile ammettere di non reggere, anche fisicamente, situazioni sociali prolungate come quelle che invece tante persone ricercano con piacere; fa sempre male pensare che mentre a tanta gente piace viaggiare, a me ogni viaggio richiede uno sforzo epico che poi mi lascia stremato per giorni.

Nonostante non riuscirò a essere presente alle manifestazioni alle quali avrei dovuto partecipare in questi giorni, vorrei però dire un paio di cose che ritengo importanti, soprattutto in una giornata come quella di oggi, perché il discorso sull’autismo si è polarizzato creando una falsa dicotomia tra chi fa attivismo e chi si occupa di autismo in abito clinico, o tra alcuni genitori e determinate persone autistiche, perdendo occasioni di dialogo e disperdendo energie che invece potrebbero essere usate per raggiungere obiettivi comuni.

È di questa dicotomia, che vorrei parlare, questa contrapposizione che ho definito falsa perché poggia su un malinteso: che una visione, una narrazione, escluda necessariamente l’altra.

La questione intorno all’autismo viene affrontata abitualmente su due fronti, da un lato quello clinico, che riguarda la persona autistica, la ricerca, le terapie, il supporto specialistico e lo sviluppo di competenze che possano permetterle di muoversi al meglio in un mondo strutturato da e per persone che hanno un funzionamento differente, un modo diverso di entrare in relazione tra loro, di comunicare, di percepire, di essere. Dall’altro lato c’è l’aspetto sociale, che si focalizza sulla necessità di incoraggiare un cambiamento culturale affinché la società prenda coscienza delle differenze e si mobiliti per ridurre le barriere che impediscono alle persone con caratteristiche differenti dalla media (tra cui le persone autistiche) di godere di pari opportunità, di poter svolgere una vita il più possibile soddisfacente, sempre nel rispetto delle proprie possibilità, aspirazioni, desideri.

Come dicevo, l’errore di fondo che porta a un’assurda polarizzazione del discorso è che questi due aspetti sono visti, spesso da entrambe le parti, come inconciliabili. Ma non è affatto così, una cosa non esclude l’altra. Io per primo, quando ho inizialmente ricercato assistenza specialistica, l’ho fatto perché ero arrivato a un punto in cui non riuscivo a gestire la mia vita. Le mie caratteristiche, inserite nell’attuale contesto socioculturale, non mi permettevano di lavorare, di avere una vita sociale che fosse soddisfacente per me, di riuscire a svolgere attività e compiti che per la maggioranza delle persone non rappresentano ostacoli. E il percorso diagnostico è stato fondamentale per capire da un lato me stesso, e dall’altro che ho bisogno di supporto in alcune aree per stare bene e riuscire a muovermi più agevolmente nella nostra società.

Per questo, dopo ormai quasi 10 anni dalla diagnosi, continuo regolarmente a vedere la psichiatra che mi ha diagnosticato, perché so che a me serve il supporto di una persona in grado di mediare tra una realtà che mi risulta a volte incomprensibile, o troppo stimolante, confusa, stancante, e il mio modo essere; una mediazione tra il mondo che vivo io e quello che vive la maggioranza.

Detto questo, dobbiamo però renderci conto che non ci si può limitare a intervenire solo sulla persona, per più di un motivo: perché parte di quel supporto di cui parlavo potrebbe essere ridotta in una società più accessibile, e perché nonostante tutta l’assistenza possibile, se la società continua a non essere consapevole di quante barriere mette sul cammino delle persone autistiche, si resterà sempre ai margini, si subirà sempre discriminazione, non si raggiungerà mai nessun tipo di autonomia.

Per questo motivo è fondamentale modificare la percezione che la società ha dell’autismo e ridurre, se non addirittura provare a eliminare, le barriere di cui parlavo prima. L’attività di advocacy di autistici e autistiche e di tanti familiari serve a ridurre lo stigma sociale ancora associato all’autismo, ed è necessaria per sviluppare una narrazione di questa condizione che includa e dia sempre maggiore valore al punto di vista delle persone autistiche.

L’impegno di tante persone verso un cambiamento culturale è necessario perché sappiamo bene che molte difficoltà che bambine, bambini e persone adulte nello spettro autistico incontrano sono il risultato dell’interazione con un mondo che non prevede la loro esistenza e allora le esclude, le tiene al margine, le stigmatizza rendendo loro impossibile anche semplicemente provare a esprimere il proprio modo di essere.

Queste due dimensioni devono necessariamente integrarsi se si vuole ottenere un risultato che vada oltre l’acquisizione di strumenti e abilità individuali, perché ogni persona, anche ogni persona autistica, è immersa in un tessuto sociale dal quale dipende gran parte della propria esistenza. Si tratta di una questione etica urgente che riguarda tutte e tutti: persone autistiche, familiari, specialiste e specialisti, riguarda i mezzi d’informazione e la politica. È necessario farsi carico di questa responsabilità e lavorare per colmare un divario che sempre più assomiglia a una voragine, e che rischia di vanificare gli sforzi dell’una e dell’altra parte.

Lo ripeto ancora una volta, perché ho la sensazione che la cosa non sia chiara ad alcune persone: le due dimensioni non si escludono a vicenda, ma devono necessariamente fondersi per trovare soluzioni comuni, altrimenti sarà solo tempo perso, fatica sprecata. Bisogna aprirsi a un cambiamento culturale necessario. Va considerata la portata del concetto di neurodiversità come strumento di lotta alla discriminazione di cui le persone autistiche sono vittime in una società strutturalmente abilista, va superato il modello basato essenzialmente sull’idea di deficit a favore di una visione che conferisca dignità alle differenze, tutte. È essenziale esporre il ruolo disabilitante della società verso chi viene etichettato come differente, bisogna pretendere il rispetto della persona e del suo modo di essere.

Oggi per me sarà una giornata difficile, non essere riuscito a partecipare alle manifestazioni a cui ero stato invitato mi addolora. Ma prima di spegnere tutto e tornare al necessario silenzio in cui mi sono rinchiuso nelle ultime settimane, nella giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo vorrei sottolineare l’importanza della consapevolezza. Perché l’utilità di giornate a tema come quella di oggi è proprio questa: creare nella società coscienza della necessità di aprirsi alle differenze, di abbattere ostacoli, per una convivenza solidale tra tutte le persone non a prescindere dalle loro caratteristiche, ma proprio perché siamo tutte e tutti differenti.

3 comments On L’importanza di creare consapevolezza sull’autismo

  • Concetti chiari e condivisibili al 100%. Stonano moltissimo le parole inutilmente in inglese (advocacy, meltdown, ecc.)
    Non fanno “figo” ma mettono in difficoltà e fanno sentire “ignoranti” le persone che conoscono e rispettano la nostra versatile lingua Italiana che non ha bisogno di prendere in prestito vocaboli da altre lingue..:

    • Grazie per il commento. Purtroppo lo specifico tipo di crisi definito “meltdown” è chiamato così anche in italiano, mi spiace. Penso che se ha letto ciò che scrivo e non si sia fermata a questo articolo prima di lasciare un commento tanto lapidario e anche un po’ offensivo, sia chiaro quanto lontana da me possa essere la necessità di fare il “figo” usando parole straniere. D’altra parte il prestito linguistico non è cosa nuova, né da fighi, e il discorso dovrebbe valere anche per quei forestierismi che sono entrati a far parte della nostra lingua come “film” al posto di pellicola, oppure computer, software, webcam, o ancora check-up, email, hotel, selfie, snob, test. La ringrazio per avermi dato dell’aspirante figo e anche snob (mi scusi, altezzoso…), ma trovo l’appunto fuori luogo.

    • Buonasera Signor Fabrizio, sono Galfione Annamaria, le avevo scritto l’ottobre scorso mentre leggevo il suo libro “Eccentrico” per ringraziarla per la preziosa condivisione che ha desiderato fare raccontando sua vita. Le avevo scritto che non uso i social ma ogni volta che leggo i suoi articoli emerge questa esigenza di esprimere e condividere con lei, pur non conoscendola di persona, e cosa che non faccio mai , ciò che le sue parole muovono in me. Avevo letto il suo libro mentre aspettavo la diagnosi di mio figlio diciottene, un ragazzo molto intelligente ma anche estremamente sensibile sotto i punti di vista accompagnato da questa costante stanchezza che nessun dottore ha mai saputo spiegare. E’ emerso che Francesco rientra nello spettro autistico. Quando lui lo ha saputo mi ha detto che finalmente sapeva spiegarsi i 18 anni della sua vita. Le scrivo per condividere ma anche per ringraziarla ancora una volta per parole di questo ultimo articolo. In questi ultimi mesi la mia prospettiva rispetto al mondo e alle persone sta cambiando. Io sono un’insegnante di scuola dell’infanzia e ho sempre odiato la parola inclusione per i motivi che lei spiega perfettamente nei suoi articoli. Ho “sposato” invece il termine che lei utilizza e che per me cambia totalmente la visione del mondo “convivenza di differenze”. La ringrazio perchè le sue parole mi consentono di modificare giorno per giorno la visione del significato dell’esistenza e della coesistenza delle persone e di percepire che è in un mondo così che io desidero vivere! Un mondo in cui cercare prima di tutto di conoscersi nella propria unicità e diversità imparando a rispettarsi e a convivere.
      Grazie di tutto
      Annamaria

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