l’autistico mascherato

Certe cose si riescono a sopportare, finché sei un bambino.

Magari sei un gran rompiscatole, terribilmente polemico; probabilmente quella vocina acuta e monocorde che ha l’effetto di un trapano nelle orecchie di chi ti ascolta contribuisce a renderti un bambino particolare. E al fatto che hai pochi amici, pochissimi, e non riesci a legare coi compagni di classe all’inizio nemmeno ci si fa caso perché comunque parli tanto, troppo.

Fin da bambino preferisci la compagnia degli adulti perché con loro riesci a parlare di cose interessanti, puoi fare domande sulla vita, su quello che non riesci a capire e anche se a volte non ti dicono la verità, riesci a farti un’idea di come funziona il mondo.
All’inizio sei un bambino come tanti, forse un po’ particolare ma nemmeno troppo strano perché si sa, i bambini sono spontanei ma poi crescono, capiscono che non possono fare tutto quello che vogliono, che devono imparare dagli adulti a diventare adulti.

Ma tu no, tu proprio non vuoi, non puoi mollare la presa sul quel mondo in cui ogni cosa è un gioco; ti ci tuffi dentro con entusiasmo e ti diverti senza uno scopo apparente se non quello di giocare coi tuoi interessi, con le tue passioni.

Ti piace la scienza fin da bambino, e questo al principio fa piacere. Guarda che intelligente è nostro figlio… poi però tu non smetti di giocare e quella passione aumenta a dismisura. La scuola va avanti, l’impegno richiesto aumenta ogni anno ma non sembri voler capire, continui a giocare con quelle cose che ti piacciono tanto, a leggere solo quello che ti interessa.

Hai fatto i compiti? No? Smettila di perdere tempo con queste sciocchezze e mettiti a studiare, che nella vita mica si può fare solo quello che ci piace.

Tu però non lo capisci, ti impegni tanto in quelle cose, nelle tue cose, e sei bravissimo. Sei molto ma molto più bravo degli altri però quello non conta, a quanto pare. Cominci a capire, a poco a poco, che gli altri non vogliono tu sia te stesso, che devi rispettare le loro regole, devi diventare uno di loro.

Ma non esci mai? Ma amici non ne hai? Guarda che questo ragazzo non è normale, io alla sua età andavo in giro con gli amici, facevamo di tutto, eravamo ragazzi. Lui è così serio, sempre chiuso dentro quella camera con le sue cose, secondo me non è normale, sembra un vecchio.

E capisci ogni giorno di più, non sei mica stupido, lo vedi, senti quello che dicono dietro quelle porte chiuse, anche perché questo lo sanno tutti: tu senti ogni cosa, noti ogni dettaglio.

È già da un po’ che ci stai provando, ma evidentemente non basta. È da qualche anno che ti è chiara la storia: non mostrare chi sei, non essere te stesso, mai. Anche se non capisci, tu fa’ come loro, almeno da fuori. Però è buffo, perché gli altri si contraddicono costantemente. Prima ti dicono che devi fare come loro, che devi smettere di giocare e di sognare, di fare quello che ti piace, però poi la televisione ti dice il contrario. Sii te stesso, dicono nelle pubblicità, sei unico, non smettere mai di sognare. Gli adulti ti dicono che l’onestà è un valore imprescindibile e poi, quando dici una verità che non gli piace se la prendono e ti chiamano maleducato.

Tutto diventa così complicato. Non c’è giorno che non ti facciano notare qualcosa di sbagliato in te, è una tortura costante. E più cresci, peggio è.

Il ragazzino non ha amici, va male a scuola anche se è molto intelligente, forse perché è pigro, è svogliato. E poi è maleducato, risponde sempre male a tutti, non riconosce l’autorità, non ubbidisce. Ma deve capirlo, eh, che la vita non è mica un gioco, che deve imparare a fare le cose che non gli piacciono, non può solo stare a leggere i suoi libri, suonare, fare quegli esperimenti inutili. La vita è un’altra cosa. E poi l’hai visto mai con una ragazza? Ma qual è il problema? Sarà depresso, che non esce mai da quella maledetta stanza?

Chiaro, più chiaro di così non potrebbe essere. Con l’età arrivano le responsabilità, più cresci e più devi diventare uno di loro, solo ai bambini è concesso essere chi sono, e anche a loro solo per poco tempo, fino a che inizia la scuola coi suoi obblighi e l’obbedienza.

Ma le regole sono tante, troppe, e poi si contraddicono. Esci con gli amici, dicono, ma se poi alla fine un amico lo trovi e ci passi troppo tempo allora non va bene. Che ci fai sempre con quello, e poi non dovresti studiare?

E con gli amici è peggio che andare di notte, perché a te delle loro cretinate non interessa nulla. Uscire a sballarsi, andare a ballare, parlare di cose inutili. E lo fai ogni tanto, lo fai, e poi passi la notte a piangere nel letto perché sì, vedete cari mamma e papà, sono uscito, ho fatto quello che fanno gli altri e non ci riesco, non sarò mai uno di loro. Lo so io ma lo sanno anche loro, mi prendono in giro, mi trattano come un intruso.
Più passano gli anni e più ogni cosa diventa complicata. Obblighi, solo obblighi incomprensibili e poi tutto il casino, i rumori, l’ansia è insopportabile. Costante, l’ansia, perché costante è lo sforzo di vivere una vita che non ti appartiene. E lo fai per loro, perché tu non vai bene, evidentemente.

Quando eri un bambino il problema più grande era la scuola. E quella alla fine faceva male ma si sopportava. Il rumore costante, le urla dei compagni, gli insegnanti che ti costringevano ad ascoltare anche i loro errori in silenzio, perché correggerli per qualche strana ragione non si poteva fare. E sopportavi anche l’emarginazione, nonostante tu volessi partecipare. Strana, questa cosa. Tu hai sempre desiderato avere degli amici, ma qualcosa non ha mai funzionato a dovere. Tu e gli altri parlate due lingue differenti, vivete su due pianeti diversi, il problema è che sul tuo pianeta ci sei solo tu; sul loro invece sono in tanti. E allora sei quello strano, quello da prendere per il culo, da inseguire dopo la scuola fino a casa.

Cresci, crescono gli obblighi, aumentano le aspettative di una società che non capisci perché tu vieni da un altro pianeta. Le richieste si fanno pressanti. Fai come gli altri, rinuncia a chi sei davvero, fingi, fingi tutto il giorno che stare nella confusione non ti distrugga anche fisicamente. Fingi interesse quando ti parlano della sorella che ha fatto un viaggio a Londra, fingi interesse quando in pizzeria stai solo cercando di resistere alla musica e al casino e alle luci. Fingi. Fingi un sorriso di plastica perché altrimenti anche quello, ti rimproverano. E guarda negli occhi quando parli con gli altri. E saluta, ringrazia, non dire quello che pensi, mai. Perché a quanto pare la gente si offende se gli dici la verità. Fingi. Di essere normale. Ma che fatica, questa maschera incollata addosso tutto il giorno. E continui a non capire il perché di tante cose. Vorresti ancora poter giocare con quello che ti piace.

Il criterio diagnostico C dell’autismo nel DSM-5 (il manuale diagnostico delle condizioni mentali maggiormente utilizzato dagli specialisti di tutto il mondo) dice:

“I sintomi devono essere presenti nel primo periodo di sviluppo (ma potrebbero non manifestarsi completamente fino a quando le richieste sociali non superano le limitate capacità o possono essere mascherati da strategie apprese successivamente nella vita).”
Fate molta attenzione all’ultima parte: i sintomi… possono essere mascherati da strategie apprese successivamente nella vita. Strategie apprese per sopravvivere, per non essere costantemente marchiato come quello strano, l’asociale, il diverso; strategie sviluppate a un prezzo altissimo solo per non sentirsi dire continuamente che non si va bene, così come si è. Strategie sviluppate negli anni per imparare un linguaggio che non ci appartiene ma che dobbiamo apprendere, se vogliamo vivere nel mondo.

Ma, ripeto, fate attenzione: imparare a mascherare non vuol dire diventare un altro. Imparare a mascherare vuol dire in qualche modo ammettere un fallimento, alzare bandiera bianca e dire d’accordo, quello che sono non va bene qui fuori nel vostro mondo, allora cercherò di essere un altro. Perché dall’autismo non si guarisce, l’autismo è parte di te, che ti piaccia o no.

La maschera, quella maledetta maschera che indossi al mattino e se ti va bene puoi togliere la sera quando sei solo a casa o nella tua cameretta, la maschera pesa ogni giorno di più. E poi arrivi a un punto in cui non riesci più a capire, soprattutto perché mancano le forze per tenerla sempre su, quella odiosissima maschera. Non hai più energie perché la maschera vuol dire fingere che gli stimoli esterni non ti massacrino in ogni istante, vuol dire sorridere mentre l’ansia ti assale, vuol dire cercare di filtrare le parole che mi dici da quella marmellata di suoni e rumori a scuola o in ufficio.

La maschera ha un costo altissimo e quasi sempre, prima o poi, quel costo diventa così alto da non farcela più.

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