Indipendenza

Venerdì pomeriggio dopo il lavoro facciamo una passeggiata in centro approfittando del bel tempo.

Maurizio, con gli anni, è diventato il mio misuratore di autismo personale; un canarino da grisou, una sirena antiaerea che mi avverte quando avvista segnali di pericolo. E così venerdì, mentre passeggiavamo, mi dice: «Fabrì, oggi sei particolarmente autistico, forse è meglio tornare a casa. Sbarelli quando cammini, sei ecolalico, logorroico e hai il volto piuttosto inespressivo».

Effettivamente cominciavo a sentirmi strano, ma come capita spesso non riuscivo a capire cosa fosse che non andava. Mi succede, e non ne sono particolarmente felice perché vuol dire che continuo ad aver bisogno di qualcuno che osservi le variazioni dei miei comportamenti e dell’umore dall’esterno, e mi avvisi quando vede arrivare tempesta.

Questo episodio mi ha fatto tornare in mente una domanda ricevuta durante una delle presentazioni del libro, due settimane fa a Firenze. La domanda in sé era estremamente diretta e semplice, eppure mai fino a quel momento mi ero posto il problema. Eravamo in libreria e un ragazzo autistico mi domanda quanto sia indipendente nello svolgimento della mia vita, dei compiti, della burocrazia.

Sinceramente è stata una bella botta. Ci ho messo un attimo a rispondere, perché tutto sommato l’immagine che ho sempre avuto di me stesso è quella della persona indipendente, estremamente pratica e brava a risolvere problemi. Mi sono sempre visto autonomo, eppure in quei brevissimi istanti ho ripercorso i miei ricordi a ritroso, e mi sono accorto che le cose non stanno proprio così.

Negli ultimi 15 anni ho condiviso la mia vita con Maurizio. Mi sono occupato di tanti aspetti della nostra quotidianità (adoro fare le pulizie, sistemare la spesa, cucinare, litigare coi vicini quando fanno casino), eppure tutto ciò che riguarda la burocrazia, gli appuntamenti, le scadenze e i calendari vari è sempre stata sua competenza.

In una frazione di secondo ho riflettuto sul fatto che tutte le visite dal medico o dal dentista me le ha fissate lui, le ha segnate sul calendario e mi ha ricordato le scadenze quando si avvicinavano. Lo stesso è accaduto per il rinnovo del passaporto, per cancellare l’assicurazione sul locale dove avevo il laboratorio di liuteria: mi prende appuntamento o mi ricorda di farlo, e non mi molla finché non lo faccio.

Con gli anni ho notato anche che ha affinato parecchio la tecnica. Sa benissimo che posso essere particolarmente difficile da gestire, con comportamenti a volte chiaramente oppositivi, soprattutto perché da un lato desidero mi si dica cosa devo fare, ma dall’altro detesto che mi si impongano compiti che non rientrano nei miei piani. Cioè, che se mi interrompe mentre sto suonando per dirmi di chiamare la banca posso fulminarlo.

Così ormai approfitta dei momenti in cui si accorge che non sto facendo niente: dopo mangiato, quando mi alzo dal pianoforte per andare a prendere un bicchier d’acqua. Mi intercetta, mi mette il telefono in mano e pum! Nemmeno me ne accorgo che già sto parlando con la mia agente. Sto uscendo di casa e devo ricordarmi di buttare l’immondizia? Non lo farò mai, a meno che il sacchetto non mi venga gentilmente messo in mano mentre sono già con un piede fuori dalla porta.

E prima di andare a vivere con Maurizio c’è stato un anno ad Amsterdam con la mia coinquilina, che è nata e cresciuta a pochi metri da casa mia a Napoli e conosco da quando aveva pochi mesi. Lei è molto materna, e alla fine ricordo anche lì un bel po’ di problemi per la gestione della casa, fino a che non ha cominciato a occuparsene lei e amen. Prima ancora vivevo coi miei. Insomma, io indipendente al 100% non lo sono mai stato.

Non vorrei si pensasse che tutto questo racconto è un modo per giustificare determinati comportamenti, usare l’autismo come scusa per non fare le cose. Tutt’altro. Vorrei far comprendere come a volte per una persona con le mie caratteristiche possa essere difficile non tanto svolgere il compito in sé (non è che abbia problemi a raggiungere il cassonetto della differenziata o a prendere un appuntamento online) quanto iniziare quel compito, quell’azione.

Allo stesso modo, dal momento che a volte (non sempre) non riesco ad accorgermi che mi sto pericolosamente avvicinando a un sovraccarico sensoriale o emotivo, che sto per esplodere in un meltdown, ho imparato ad ascoltare chi dall’esterno nota delle differenze e mi avvisa. Non me la prendo se mi si dice che sembro “più autistico del solito”, anzi sono grato a chi cerca di evitarmi situazioni ancora più stressanti.
Mi rendo conto che questo non è un livello di dipendenza paragonabile a chi non riesce a svolgere nemmeno i compiti più semplici, ma spesso ho l’impressione che determinate necessità vengano sottovalutate. E non sono solo gli altri, i neurotipici, a sminuirne l’importanza: nel mio caso sono stato io stesso a non accorgermi di non essere poi così indipendente come credevo fino a poco tempo fa, reagendo spesso molto male a determinate richieste che vedevo invece come imposizioni.

Involontariamente, col tempo, abbiamo sviluppato in casa una strategia piuttosto pratica per far fronte alla mia incapacità di iniziare determinate azioni, e devo dire che la cosa funziona piuttosto bene.

Eppure non posso evitare di ricordare i rimproveri e le punizioni ricevute da bambino per questo stesso problema, e il pensiero ritorna come un disco rotto a quella inutile domanda: chissà come sarebbe andata se certe cose le avessimo sapute prima…

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