5 cose da non dire a un autistico

1) Ma non sembri autistico, non si vede.

Ecco, questa è un’evergreen, una di quelle cose che molti di noi si sentono dire costantemente. Ne ho già scritto nel post sullo Spettro Autistico qualche giorno fa ma è sempre bene ricordare certe cose, magari qualcuno se l’è perso. In quel post ho usato la metafora dell’iceberg. Quello che si vede fuori dall’acqua, i comportamenti più evidenti dell’autismo, sono solo la parte visibile, ma sott’acqua c’è la parte più grande. A volte la punta dell’iceberg affiora appena alla superficie e altre volte spunta dall’acqua come una montagna, ma non bisogna mai dimenticare il resto, la parte sommersa che, soprattutto nei casi definiti ad “alto funzionamento”, è quella che può arrivare a rendere la vita estremamente problematica, spesso impossibile da gestire.

2) Con l’età passa

L’autismo è una condizione del neurosviluppo che ha come risultato una differente organizzazione del sistema nervoso e di sicuro sappiamo che non passa. Certo, può accedere che con l’età alcune caratteristiche come l’ansia o le difficoltà nella socializzazione sembrino migliorare, e questo succede per vari motivi. In alcuni casi si apprende a controllare determinate reazioni, oppure si sviluppano strategie che permettono una migliore comunicazione e interazione con gli altri. Si può imparare a resistere al fastidio a spesso insopportabile che certi stimoli (rumori, luci, tessuti…) ci provocano. In ogni caso si tratta di strategie sviluppate e messe in atto con grande dispendio energetico per compensare a una differenza neurologica che, di fatto, rimarrà lì anche una volta appreso eventualmente a gestirla.

3) Conosco un bambino che con la innovativa terapia xyz è guarito dall’autismo.

Questa è una di quelle cose che non solo non va detta a un autistico, ma nemmeno a un genitore perché potrebbero saltarvi al collo. Visto che abbiamo stabilito che dall’autismo non si guarisce perché non è una malattia ma una condizione di neurodiversità, e che in alcuni casi determinate caratteristiche si può imparare a gestirle, va da sé che non esistono cure per l’autismo. A volte possono essere trattate alcune comorbidità, cioè quelle condizioni che potrebbero accompagnarsi all’autismo come disturbi d’ansia, depressione, epilessia, DOC.
Una domanda importante da porre a chi ci parla di cure per l’autismo è se ci siano basi scientifiche a garantire l’efficacia. Il fatto che la mamma X abbia portato la sua bambina Y dal sedicente dottor Z e che, dopo anni di tisane alla cicoria la bambina abbia cominciato a parlare, non vuole assolutamente dire che la cura miracolosa abbia funzionato. Insomma, bisogna comprendere che per stabilire se tra i due eventi c’è un nesso di causa ed effetto (cioè se la cura causa la guarigione) esiste un sistema ben collaudato che per secoli sembra aver dato risultati affidabili: il metodo scientifico. E, al netto di tutti i possibili problemi dovuti alla corruttibilità dell’animo umano, rimane in assoluto il sistema migliore per stabilire se una cura funziona o no. Potrebbe darsi infatti che la bambina Y avesse un ritardo nello sviluppo del linguaggio, e che avrebbe cominciato a parlare a prescindere dalla cura del dottor Z. La bellezza della scienza, inoltre, è che non è necessario crederci perché funzioni. Per essere chiari, un aereo si solleva da terra anche se i passeggeri non credono nelle leggi della fisica, così come i telefoni cellulari funzionano anche nelle mani di quelli che dicono di non credere nella scienza che li ha resi possibili.

4) Smettila di sfarfallare le mani, dondolarti, ripetere suoni o parole, saltare…

Qui bisogna fare molta attenzione, perché c’è da capire che nella stragrande maggioranza dei casi dietro a ogni comportamento (per quanto strano possa apparire) c’è una causa. E, per quanto riguarda i comportamenti autostimolatori, le cosiddette stereotipie, in generale alla base c’è una necessità di autoregolazione sensoriale o emotiva o, in alcuni casi, potrebbe esserci un malessere fisico. Chiariamo inoltre che tutti, anche i neurotipici, mostrano questi comportamenti soprattutto in momenti di agitazione: giocare coi capelli, agitare o battere il piede sul pavimento o la penna sulla scrivania o, in casi estremi, dondolarsi. Per questo motivo, chiedere a un autistico di reprimere un comportamento autostimolatorio senza prima capire cosa ci sia dietro, è da evitare. Ovviamente se la stereotipia è pericolosa (dare testate al muro, ad esempio) va fermata, qui non ci piove, ma in generale se si comprende il motivo alla base del comportamento si può anche cercare una sostituzione di quella stereotipia che sia più funzionale, che non interferisca con l’apprendimento o con la vita sociale della persona. Io, ad esempio, quando sono nervoso comincio a massacrarmi le mani: le stringo, piego le dita con forza, le muovo ritmicamente, e farlo mi calma moltissimo. Però ho scoperto che se riesco ad aspettare di mettermi al pianoforte a suonare, oltre a muovere le dita ed esercitare pressione su di esse (che è la cosa che mi calma), mi concentro in un’attività intellettualmente ed emotivamente stimolante come la musica, e l’effetto camlante è molto più duraturo. Quindi, invece di reprimere e basta, prima di tutto capire, poi eventualmente sostituire, altrimenti lasciare fare.

5) Guardami negli occhi quando parlo.

La summa dell’incomprensione tra neurotipici e neurodiversi, una breve frase che racchiude le differenze tra due mondi e, contemporaneamente, mostra quanto poco la società cerchi di comprendere queste differenze e quanto invece provi spesso a voler cambiare, a modificare il diverso. Stando ai racconti degli stessi autistici, guardare negli occhi l’interlocutore produce sensazioni sgradevoli che possono essere anche molto forti, cosa che ovviamente impedisce di concentrarsi su quello che si vuole dire o nell’ascolto dell’altro. Insomma, se fisso il pavimento mentre parli è proprio per ascoltarti meglio, e non il contrario. E questa cosa ha cominciato a confermarla uno studio[1] che spiega che “I risultati mostrano che questo comportamento [evitare lo sguardo] è un modo per ridurre un’eccitazione estremamente spiacevole derivante dalla iperattivazione in una particolare parte del cervello” suggerendo inoltre che forzare il contatto oculare aumenta notevolmente l’ansia nell’autistico.

Nota:
[1] Hadjikhani, N., Åsberg Johnels, J., Zürcher, N.R. et al. Look me in the eyes: constraining gaze in the eye-region provokes abnormally high subcortical activation in autism. Sci Rep 7, 3163 (2017).

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