Gli accomodamenti ragionevoli

Recentemente, una sentenza del Consiglio di Stato (1798/2024) ha respinto il ricorso dei genitori di uno studente disabile. Al ragazzo sono state assegnate un numero di ore di assistenza educativa inferiore rispetto a quelle raccomandate da docenti e operatori della scuola. La motivazione di questa riduzione, secondo il Consiglio di Stato, è stata puramente economica e si è appellata al concetto di “accomodamento ragionevole“. Il problema centrale è che questo concetto può essere facilmente interpretato in un’ottica neoliberista.

Il neoliberismo, sistema economico-sociale che ha preso piede in Occidente a partire dagli anni ’80 (dopo l’esperimento cileno iniziato col golpe del ’73) si fonda sul mito del libero mercato e della competizione. Un mito, perché in realtà la “libertà” riguarda soprattutto le imprese e le corporation, sostenute da interventi statali spesso molto invasivi. Negli anni, questo ha portato alla privatizzazione di servizi essenziali, alla riduzione delle tasse per le imprese e all’introduzione di una serie di agevolazioni che hanno contribuito all’attuale livello di disuguaglianza sociale ed economica. Oggi, secondo l’Istat, 5,6 milioni di persone in Italia vivono al di sotto della soglia di povertà. In sostanza, l’unica vera “libertà” che il neoliberismo ha promosso è quella dei mercati, liberati dalle regole create per proteggere le persone, incluse lavoratrici e lavoratori, cittadine e cittadini e ovviamente, tra questi, le persone con disabilità.

Negli oltre quarant’anni di propaganda neoliberista, abbiamo assistito alla trasformazione di diritti garantiti dallo Stato in libertà concesse dal mercato. Troppo spesso, questa “libertà” significa semplicemente la possibilità di scegliere – se puoi permettertelo – servizi privati, mentre chi non può farlo rimane senza alternative.

Il concetto di “accomodamento ragionevole” ha origine negli Stati Uniti ed è stato inizialmente introdotto per garantire alle minoranze escluse dal mondo del lavoro la possibilità di accedervi. Si è evoluto con l’Americans with Disabilities Act (ADA) del 1990, sempre negli Stati Uniti. L’ADA richiede ai datori di lavoro, alle scuole, ai trasporti pubblici e ad altre entità di fornire accomodamenti “ragionevoli” alle persone con disabilità per permettere loro una piena partecipazione sociale. L’accomodamento deve essere “ragionevole”, il che significa che non deve comportare un onere sproporzionato o una difficoltà eccessiva per l’ente che lo fornisce. Come spiegato nell’articolo 5 della direttiva 2000/78/CE, la ragionevolezza è relativa ai costi dell’eliminazione delle barriere. In altre parole, l’inclusione delle persone disabili e la possibilità di fornire un adeguato sostegno a scuola sono subordinate alla sostenibilità economica.

Subordinare le ore di supporto e sostegno di uno studente alla ragionevolezza economica significa dichiarare implicitamente che le istituzioni italiane sono abiliste. Questa discriminazione affonda le sue radici in un’idea pericolosa: la persona disabile è vista come un peso per le istituzioni, incapace di produrre. E ovviamente non potrà mai farlo se non viene messa in condizione di studiare e di realizzarsi, ma questo è un altro discorso. Una sentenza, quella del Consiglio di Stato, che ribadisce quanto ancora siamo lontani dal modello sociale della disabilità, dalla reale messa in pratica del concetto secondo il quale la disabilità è data dalla relazione tra la persona con specifiche caratteristiche e l’ambiente, la società che invece è strutturata per persone che ne hanno altre, per la maggioranza. È una sentenza che non considera quanto sia la nostra società a disabilitare la persona anche negandole diritti fondamentali come quello allo studio.

E quando l’economia prevale sui diritti, la giustizia diventa una questione di convenienza.

 

NOTA:

[1] Huylebrouck, D. (2023). Hitler’s Math. In: Dark and Bright Mathematics. Copernicus Books . Birkhäuser, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-031-36255-2_2

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