5 luoghi che possono mettere un autistico KO

1) Il Centro Commerciale

Nei centri commerciali io non riesco a metterci piede, e dalle storie che ho raccolto parlando con tanti altri autistici e genitori di bambini autistici, non sono l’unico. Il centro commerciale è la quintessenza dell’iperstimolazione sensoriale: luci accecanti e colori accesi dovunque che, per chi ha difficoltà con gli stimoli visivi, possono provocare fastidio che in alcuni casi arriva a essere vero e proprio dolore fisico. Il centro commerciale è rumoroso oltre il limite della sopportazione se le difficoltà sensoriali hanno a che fare con l’udito. È una marmellata di voci che parlano tutte allo stesso tempo, gente che guarda video al cellulare, che ride, urla; la musica è onnipresente e, se gli studi di neuromarketing dicono che invoglia i clienti a spendere più soldi, sugli autistici ha l’effetto di continue esplosioni nelle orecchie. Per cui, se vostro figlio esplode durante o dopo una visita al centro commerciale, se vostro marito o vostra moglie una volta tornati a casa cominciano a diventare improvvisamente nervosi e irascibili per ogni sciocchezza, probabilmente sono in balia di quei sensi che, come se non avessero filtri, hanno lasciato entrare indiscriminatamente ogni suono, rumore, luce, colore, odore. Lasciateli decomprimere, probabilmente avranno bisogno di silenzio e solitudine per un po’.

2) Le Feste di Piazza

Che belle le feste di piazza, di quartiere o di paese. Le bancarelle che profumano di mandorle caramellate, il palco con la musica sparata a un milione di decibel, la gente felice e un po’ brilla che balla, canta e si diverte. Tutti sono rilassati, sciolti e amichevoli e, nel mezzo della folla festosa e ipersociale, c’è un ragazzino che si guarda intorno alla ricerca del posto più isolato. Il cuore che batte veloce e il respiro corto, le mani sudate e l’espressione che ogni tanto, quando la cantante del gruppo lancia un acuto dal palco, si contorce in una smorfia di dolore tappandosi le orecchie, la testa nelle spalle. Si guarda intorno, vede i coetanei che ballano e vorrebbe anche lui ma non gli riesce, l’ansia di mostrarsi agli altri lo blocca. Invidia quella folla che inspiegabilmente non soffre per la musica, quella gente che si struscia e si tocca. Quanto vorrebbe riuscire a lasciarsi andare, eppure il suo corpo cerca di fuggire, lo spinge verso gli angoli meno illuminati, verso l’invisibilità. Poi arriva la cugina e lo trascina nella folla. Balla, gli dicono tutti, dai, balla, ma non ti diverti mai? Ed esplode la bomba, il ragazzino corre via, panico, ansia, cuore a tremila; desiderio di essere come loro, le lacrime aiutano a sgonfiare quel groviglio di emozioni e stimoli che gli si è disintegrato nel petto. Pace, fino alla prossima esplosione.

3) La Scuola

A scuola bisogna andarci, uno se ne fa una ragione fin da piccolo. Personalmente la scuola è stata una delle esperienze peggiori della mia vita; guardo con stupore a quelli che ogni tanto dicono: “Quanto mi piacerebbe tornare a quei giorni…” perché io nemmeno se mi pagassero. La scuola è un luogo rumoroso e disordinato. A scuola ci sono altri bambini e ragazzi della tua età, cosa che ti mette a confronto diretto con la normalità amplificando quelle differenze che, da solo nella tua cameretta, ti pesano molto di meno. A scuola bisogna socializzare, altrimenti sei un asociale, oppure sembra te la tiri e comunque in entrambi i casi sei messo da parte perché gli asociali e i presuntuosi non piacciono a nessuno. A scuola diventi il bersaglio dei bulli che, si sa, sono vigliacchi e se la prendono con te. A scuola salta fuori con prepotenza quel tuo lato un po’ ossessivo nello studio di certe materie, tanto da arrivare a volte a correggere gli insegnanti che, si sa, non è che certe cose le vedano proprio bene. A scuola sei costretto ad apprendere seguendo sistemi che funzionano a malapena per i coetanei “normali”, figuriamoci per te. A scuola, se hai una crisi, un sovraccarico sensoriale, emotivo o cognitivo, sei problematico, disturbi la lezione e diventi ancora più antipatico. A volte, ma sono purtroppo davvero poche, il caso ti regala degli insegnanti intelligenti e sensibili che riescono a capire le tue necessità, collaborano coi tuoi genitori e addirittura fanno sì che i compagni smettano di vederti come un alieno da crocifiggere e ti accolgano tra loro. Ma a me questa cosa meravigliosa, in tanti anni di scuola, non è mai capitata.

4) Il Lavoro

E anche questa è una cosa che va fatta. Non mi vergogno di dire che, se potessi, non lavorerei. Trascorrerei la giornata in casa a suonare, a studiare quegli argomenti che mi rapiscono e mi catapultano in un mondo meraviglioso, a scrivere. E farei lunghe passeggiate. Ma bisogna lavorare, funziona così. Quando mi trasferii in Olanda, 17 anni fa, trovai lavoro in un call center, e capii che esisteva qualcosa di peggio della scuola. Per la verità fui fin troppo fortunato, conobbi alcune persone meravigliose con cui ancora sono in contatto ma quel posto rimaneva comunque un inferno. Con alcune anime buone.

Sul posto di lavoro, come a scuola, non puoi disporre del tuo tempo e questo, se hai un modo differente di percepire e gestire il tempo, è un grosso problema, perché dopo qualche ora cominci a diventare nervoso, molto nervoso. Sul lavoro devi fare cose la cui utilità per la società ti è del tutto oscura, devi trascorrere ore e ore davanti a un computer dallo schermo che ti brucia la cornea, sotto fastidiosissime luci al neon di cui riesci a percepire il ronzio fin dentro le ossa. Se sei fortunato e lavori in un open space come capitò a me, allora tutti gli altri impiegati staranno parlando al telefono contemporaneamente mentre tu cercherai disperatamente di distinguere gli insulti che il cliente ti sta gridando nelle cuffiette. Il luogo di lavoro, come la scuola, impone la socializzazione. A parte dover pranzare in quella mensa rumorosa in cui il casino rimbombava sulle superfici di formica e vetro, nel posto dove lavoravo c’era il giovedì alcolico. Birra coi capi e tutti gli altri impiegati in mensa con accesso alla terrazza, sempre che non diluviasse. Ecco, io quei giovedì pregavo di avere il turno pomeridiano. E non è che i miei colleghi fossero antipatici (non tutti, almeno), il problema è che dopo una giornata di lavoro l’unico modo per far scivolare fuori la tensione, sciogliere i nervi tesi da tanta confusione, da tante richieste e tanta socializzazione era spararmi due birre di fila e staccare il cervello (le meraviglie della dissociazione).
Adesso va meglio, lavoro all’università e posso fare una parte del lavoro da casa, però ci sono sempre le riunioni. Gente che vomita parole, luci che sparano proiettili incandescenti agli occhi, la segretaria che si alza e mi passa vicino mentre parlo e mi distrae, perdo il filo, cosa dicevo? E parlano tutti insieme ma, miracolosamente, loro riescono a capirsi mentre io li osservo rassegnato, le loro voci si mescolano in una indecifrabile poltiglia sonora. E allora a volte, quando raggiungo il limite, il cervello si stacca da solo per un po’: dissociazione, assente, ci sono ma non ci sono. E se sono abbastanza bravo, alla fine nemmeno se ne accorgono.

5) I Mezzi di Trasporto Pubblici

Quando da ragazzo studiavo al conservatorio dovevo percorrere tutta la città, dalla collina fino al centro, per andare a lezione. Problema: a Napoli, almeno trent’anni fa, gli autobus erano scatole di sardine che, tra l’altro, solevano rimanere bloccati per ore nel traffico. La gente spingeva, puzzava, parlava. Credo di aver preso l’autobus solo quando pioveva tanto da rendere il percorso a piedi impossibile senza una canoa, o quando incrociavo la mia adorata insegnante che aspettava alla fermata, perché mi vergognavo di dirle che l’autobus mi devastava. Oggi vivo a Barcellona, qui i mezzi di trasporto funzionano benissimo, eppure ogni volta che devo prendere la metropolitana è una tortura. Non si contano le volte in cui sono sceso correndo alla prima fermata perché qualcuno aveva un odore troppo forte o masticava incessantemente a bocca aperta, o guardava video al cellulare a tutto volume. Anche qui troppe voci, troppo rumore e gli odori, la gente nell’ora di punta che ti si schiaccia addosso come se niente fosse. Prendere la metropolitana prima di una lezione vuol dire arrivare già cotto all’università e aver bisogno di chiudermi in bagno in silenzio. Certo, ormai con le maledette fotocellule che tengono le luci accese ogni volta che entri al bagno non si riesce nemmeno lì a stare un attino al buio.

Considerazione importante: certi posti o situazioni metterebbero KO molte persone anche non nello spettro autistico, e infatti oggi i livelli di stress nella popolazione sono in aumento. Ovviamente, per un autistico questa è solo una parte della storia, che è molto più complessa e influenza tanti altri aspetti della vita. Ricordo sempre che “non siamo tutti un po’ autistici” e che ritrovarsi in alcune caratteristiche di questa condizione non è sufficiente per ottenere una diagnosi di autismo.

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