Le funzioni esecutive nell’autismo. 4: la pianificazione

– Pensare di avere abbastanza tempo per riuscire a finire quella cosa e poi arrivare sistematicamente con l’acqua alla gola.
– Accettare un lavoro o decidere di aiutare un amico e, solo dopo, accorgersi di non averne il tempo né le energie per mantenere l’impegno.
– iniziare la giornata con una sensazione di angoscia per tutto quello che c’è da fare.
– Arrivare a fine giornata con un sentimento di insoddisfazione per non essere riusciti a portare a termine quello che ci eravamo prefissi.
– Buttarsi a capofitto in un lavoro ed esserne stremati dopo un po’ per aver ecceduto nell’impegno che gli si è dedicato.
– Sentirsi dire che si è inflessibili e incapaci di modificare i propri piani.
– Dipendere da una pianificazione precisissima delle proprie attività tanto da entrare in crisi davanti al minimo imprevisto.

La capacità di pianificare è un’operazione complessa che richiede l’interazione di diverse funzioni cognitive. Per riuscire a pianificare qualsiasi cosa, da una semplice azione a una complessa strategia politica o economica, dobbiamo essere in grado prima di tutto di individuare una necessità, come potrebbe essere svolgere i compiti assegnati al lavoro per la prossima settimana.

Ci si pone un obiettivo che, banalmente, è rappresentato proprio dalla necessità da soddisfare. In questo caso il nostro obiettivo sarà di portare a termine tutto il lavoro assegnato nei tempi stabiliti.

A questo punto, dobbiamo formulare una serie di opzioni che potremmo percorrere per arrivare al nostro obiettivo. Qualsiasi opzione presuppone un’analisi dei compiti da svolgere e delle possibilità di cui disponiamo (tempo, mezzi), in pratica vanno eseguite delle simulazioni. Se, ad esempio, decido di rispondere a tutte le email al mattino e mi organizzo in modo estremamente rigido il resto della giornata, potrei avere problemi nel momento in cui dovessi ricevere un’email urgente che richieda del tempo per essere presa in considerazione.

Una volta valutate tutte le possibili opzioni, bisogna scegliere quella che apparentemente (sempre in base alle capacità di ciascuno) sembrerebbe garantirmi di poter raggiungere il mio obiettivo con un buon rapporto tra dispendio di energie, mezzi disponibili e risultato. E, a questo punto, bisogna coordinare tutte le azioni necessarie a mettere in pratica l’opzione scelta, dare a queste azioni una chiara scansione temporale. Siamo quindi d’accordo sul fatto che la pianificazione non sia una funzione elementare.

La storia delle differenze nelle funzioni esecutive è un po’ un cane che si morde la coda perché, da un lato, avere problemi con le funzioni esecutive ci predispone a essere caotici e disorganizzati (preferendo spesso trascorrere più tempo possibile coi nostri interessi speciali e lasciando tutto il resto fuori dalla nostra attenzione) e dall’altro, una volta sviluppate (per necessità) delle strategie di pianificazione, riusciamo a essere estremamente efficienti e a ridurre quelle stesse difficoltà con le funzioni esecutive.

Rimane però il famoso problema della scarsa flessibilità che caratterizza molti (non tutti gli) autistici e non è un affatto un capriccio, ma una caratteristica che potrebbe essere, come in altre occasioni, il risultato proprio della necessaria e inevitabile interazione con la società e le sue regole. Quando infatti per necessità, cioè per riuscire a “funzionare” meglio nella società, apprendiamo delle strategie per pianificare, possono accadere due cose:

1) Non essendo una cosa che facciamo naturalmente, dobbiamo attivare il programma funzioni esecutive ogni volta che individuiamo la necessità di farlo. E questo potrebbe non accadere nei momenti di sovraccarico sensoriale, emotivo o cognitivo, o quando siamo estremamente presi dai nostri interessi speciali.

Il risultato di una mancata attivazione volontaria della funzione di pianificazione comporta un ritorno alla modalità autistica delle funzioni esecutive che, messa a confronto con quella della maggioranza della società, tornerebbe ad apparire deficitaria, causando problemi in aree come il lavoro, la scuola, i rapporti sociali.

2) Dal momento che è una funzione che apprendiamo in modo artificiale (perché ce la spiegano o ci arriviamo da soli un tentativo alla volta), essa segue alcune regole ben precise, anche se non ne siamo pienamente coscienti. Quindi, nel momento in cui arriva l’imprevisto, entriamo nel panico.

Uno studio[1] conferma questa ipotesi e ci dice che: “La pianificazione richiede l’impostazione e il mantenimento di un obiettivo. Poiché è impossibile anticipare tutti gli eventi che potrebbero ostacolare il raggiungimento di un obiettivo, la cosa migliore da fare è presumere che non vi siano ostacoli fintanto che non ce ne sono in vista, in altre parole, applicare l’ipotesi del mondo chiuso[2] alle eccezioni. Tuttavia, si deve tenere aperta la possibilità di aver trascurato un eventuale ostacolo e quindi modificare il proprio piano di conseguenza. Ad esempio, se pianifico un viaggio in treno, supporrò che non ci siano scioperi, interruzioni di corrente, incidenti e così via, a condizione che non abbia informazioni contrarie. Suggeriamo quindi che potrebbe essere proprio l’applicazione flessibile dell’ipotesi del ‘mondo chiuso’ alle eccezioni, a essere difficile per le persone autistiche. Poiché in molte situazioni è richiesta la gestione flessibile delle eccezioni, non sorprende che le persone autistiche abbiano spesso problemi con la pianificazione e l’organizzazione della vita quotidiana e si aggrappino a routine fisse e orari rigidi

Una delle caratteristiche che viene maggiormente attribuita all’autismo è proprio la necessità di ripetitività e, soprattutto, la difficoltà di gestire sorprese e imprevisti, e questa cosa parrebbe avere le sue basi neurologiche[3] (non ne discuterò qui, altrimenti non finiamo più, ma alla cosa ho dedicato un capitolo intero di Eccentrico).

Si presenta quindi un doppio problema: da una parte la necessità di sviluppare strategie di pianificazione efficaci col fine di poter interagire in modo efficiente col mondo neurotipico, e dall’altra far fronte ai possibili imprevisti che potrebbero mettere in crisi i programmi realizzati.

Il primo dei problemi si può risolvere in vari modi, principalmente bisogna rendersi conto che, ci piaccia o meno, durante la giornata andremo incontro a una serie di attività (molte richieste dalla società e a volte incomprensibili) che dovremo svolgere. Una volta compreso che è più pratico affrontare la realtà e risolvere determinate situazioni quando è il momento, va individuata la modalità di pianificazione più congeniale al proprio funzionamento.

Io che sono estremamente visivo, so bene che ho bisogno di pianificare utilizzando il più possibile immagini e schemi visuali in cui ogni cosa possa essere scomposta in elementi estremamente piccoli e ricomposta facendo in modo che ogni pezzetto diventi un mini-obiettivo, un passo verso l’obiettivo finale.

Questo modo di pianificare, almeno nel mio caso, è molto utile per minimizzare l’impatto negativo degli imprevisti perché, a prescindere del punto in cui dovesse verificarsi l’imprevisto (che prima o poi ha la fastidiosa tendenza di arrivare), permette di modificare uno o più mini-obiettivi salvando il disegno generale e l’obiettivo finale. Questo, ovviamente, sempre che l’imprevisto non sia enorme e renda quindi necessario un cambio totale di piano. Si tratta pur sempre di strategie razionali che hanno dei limiti, sono delle protesi cognitive che possono comunque permetterci di raggiungere un discreto funzionamento sociale se proprio dobbiamo paragonarci al funzionamento neurotipico.

Tornando ai precedenti articoli sulle funzioni esecutive (1, 2, 3, 4)in cui ho spiegato che memoria di lavoro e attenzione sono fortemente influenzate dallo stress (quindi anche dai sovraccarichi sensoriali e cognitivi) e dal “carico percettivo”, ossia l’interesse che nutriamo per un compito o un argomento, ho verificato che, nel pianificare la mia giornata, può essere utile inserire tra un compito e l’altro un periodo di attività legato ai miei interessi speciali.

Non si tratta tanto di concedersi una sorta di “rinforzo positivo” quanto di ridare il tempo alle funzioni esecutive di riprendersi dopo un periodo di esaurimento dedicato a un compito per cui nutriamo scarso interesse. Nel mio caso, potrei pianificare 45 minuti di risposte alle email di lavoro e 30 minuti al pianoforte. Poi altri 30 minuti preparando l’ordine del giorno per una riunione e, visto che l’argomento è uno dei miei interessi speciali, un paio d’ore preparando il PowerPoint per una lezione sullo spettro autistico. In alcuni casi, se l’argomento di lavoro o studio corrisponde a un interesse speciale, ho visto che è più utile non interrompere troppo di frequente, riuscendo a raggiungere uno stato di iperfocus anche prolungato.

Come in molte altre situazioni, la soluzione non è tanto semplice e soprattutto è estremamente legata alle caratteristiche, alle capacità, alle necessità e aspirazioni di ciascuno. Come per tanti altri aspetti legati al funzionamento autistico (e non solo autistico, sia chiaro), bisogna sempre rendersi conto che si tratta di differenze che, quando messe a confronto con il funzionamento della maggioranza della popolazione, possono apparire come difetti se e solo se il funzionamento “normale” è considerato l’unico possibile.

NOTE:
[1]Pijnacker, J., Geurts, B., van Lambalgen, M., Kan, C. C., Buitelaar, J. K., & Hagoort, P. (2009). Defeasible reasoning in high-functioning adults with autism: Evidence for impaired exception-handling. Neuropsychologia, 47(3), 644–651. doi:10.1016/j.neuropsychologia.2008.11.011

[2] “L’ipotesi del mondo chiuso (CWA), in un sistema formale di logica usato per la rappresentazione della conoscenza, è la presunzione che un’affermazione vera sia anche riconosciuta come vera. Pertanto, al contrario, ciò che non è conosciuto come vero, è falso.” tradotto da Wikipedia

[3] Markram, K., & Markram, H. (2010). The Intense World Theory – A Unifying Theory of the Neurobiology of Autism. Front. Hum. Neurosci.

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