Le funzioni esecutive nell’autismo. 2. L’attenzione

– Il bambino è intelligente, ma non si applica.
– Vive nel suo mondo, quando fa qualcosa che gli interessa non c’è verso di attirare la sua attenzione.
– Si distrae per ogni sciocchezza, non riesce a stare fermo per due minuti di fila.
– Prendere il telefono per controllare l’ora, essere distratti da una notifica di Facebook, controllare la notifica e rimettere a posto il telefono senza aver guardato l’ora.
– Essere immersi nella lettura di un testo specialistico su un argomento di particolare interesse e dimenticare di mangiare, di bere, non sentire il telefono che squilla.
– Non ricordare cosa dovevate fare perché, quando ve l’hanno spiegato, eravate presi dal vostro interesse speciale e di quella conversazione non avete nemmeno il minimo ricordo.

Quando invio delle email di lavoro o sono impegnato in qualcosa verso cui non nutro un interesse particolare, vengo distratto da qualsiasi cosa accada intorno a me: gli uccellini che cantano di fuori, i passi dei vicini per le scale, lo scricchiolio di un mobile, una mosca che ronza sul vetro della finestra, il rumore di un trapano in lontananza. È come se fossi incapace di concentrare la mia attenzione su cose che non mi interessano, e questo vale soprattutto quando un compito mi viene imposto.

Fin da quando ero un bambino, ricordo molto bene questo senso di repulsione verso l’imposizione: “devi” andare a scuola, “devi” studiare anche le materie che non ti interessano, “devi” vedere i parenti quando invece vorresti leggere quel libro, “devi” perdere un pomeriggio a riordinare le ricevute per la dichiarazione dei redditi. E ogni volta che c’è un “devi”, nella stragrande maggioranza dei casi la mia attenzione diventa inesistente.

La cosa più curiosa dell’attenzione, in modo particolarmente evidente negli autistici, è infatti proprio questa sua intrinseca dicotomia, l’essere estremamente volatile e fragile in alcune situazioni, ma incredibilmente profonda e quasi inattaccabile in altre. Ieri mattina, ad esempio, ero talmente concentrato a ricercare e studiare materiale per questo articolo, che non ho sentito la suoneria del cellulare che mi avvisava di prepararmi per una riunione importantissima all’università. Eppure, quando per puro caso ho guardato l’ora e, sempre per caso, mi sono ricordato che dovevo correre alla riunione, ho notato che il cellulare aveva suonato a mezzo metro da me, e con la suoneria al massimo.

D’altra parte, per il resto della giornata mi è toccato lavorare alla trasformazione del master da presenziale a online, vista la chiusura delle università, ma continuavo a pensare ad altro; mantenere un livello decente di concentrazione è stato difficilissimo, la mia mente vagava dalle notizie sul coronavirus all’articolo che non ero riuscito a scrivere al desiderio di andare a fare una passeggiata al parco, lontano dal rumore della città.

Le situazioni appena descritte, come sempre, possono essere comuni a anche ai neurotipici poiché, come vedremo tra poco, l’attenzione sembra possedere questa dualità innata in chiunque, eppure nell’autismo (e in altre condizioni, come l’ADHD [1,2]) questo funzionamento particolarmente selettivo dell’attenzione arriva a livelli estremamente alti tali che, quando noi neuroatipici veniamo posti a confronto con una società che richiede a tutti un certo tipo di attenzione, cominciamo ad avere problemi anche piuttosto seri.

Il padre della psicologia americana, William James, diceva che “Solo quegli elementi che noto, danno forma alla mia mente – senza interesse selettivo, l’esperienza è un caos assoluto. Solo l’interesse dà accento ed enfasi, luce e ombra, mette sullo sfondo o fa risaltare – in due parole: prospettiva comprensibile.”[3]

Questa idea che l’attenzione venga in qualche modo influenzata dall’interesse che nutriamo verso un argomento, e non dallo sforzo che impieghiamo nel provare a concentrarci, è stata elaborata dalla neuroscienziata Nilli Lavie, secondo la quale la selettività dell’attenzione dipende direttamente da quello che definisce “carico percettivo” dell’attività, ossia dalla quantità di informazioni rilevanti, di nostro interesse, presenti in un argomento o attività.

In pratica, quando l’interesse (il carico percettivo) è basso, gli stimoli esterni (definiti “distrattori”) non superano la soglia della capacità percettiva, cioè non vengono filtrati, e vengono quindi elaborati dal nostro cervello entrando in conflitto con l’attenzione, che non riesce a essere mantenuta.

Al contrario, quando il carico percettivo (cioè l’interesse che poniamo in un argomento) è elevato, i distrattori, quegli elementi irrilevanti per il nostro compito, non vengono elaborati, lasciando all’attenzione (e ad altre funzioni esecutive come la memoria a breve termine) sufficiente spazio per funzionare e focalizzarsi sul compito a cui si sta lavorando. È importante specificare che il “carico percettivo” non è sinonimo di difficoltà, ma esclusivamente di interesse.

Questa caratteristica è stata studiata anche in relazione all’autismo, e il risultato confermerebbe quello che ogni autistico sa: l’attenzione è naturalmente attratta da un’infinità di dettagli, anche in situazioni in cui l’impegno richiesto dovrebbe garantire una concentrazione abbastanza intensa da tagliare fuori le distrazioni. Solo quando ciò che stiamo facendo è di nostro interesse, siamo in grado di mantenere livelli di attenzione estremamente elevati (quello che viene definito iperfocus).

In pratica, lo studio[5] confermerebbe che autistici e neurotipici hanno diverse capacità percettive dovute a differenze nell’organizzazione neurologica. Se l’attività in cui si è impegnati non esaurisce da sé la capacità percettiva, quando cioè l’impegno che mettiamo in un’attività non è da solo sufficiente a esaurire le energie disponibili e tagliare fuori ogni altro stimolo, allora continueremo a essere distratti dai passi del vicino, dalla mosca che ci ronza intorno e dal colpo di tosse per la strada.

Noi autistici avremmo quindi, rispetto ai neurotipici, una maggiore capacità percettiva, cioè saremmo capaci di elaborare un maggior numero di “distrattori”, di elementi estranei al compito che stiamo svolgendo, senza necessariamente ridurre le prestazioni dell’attività, come viene spiegato dai ricercatori: “questa maggiore distraibilità potrebbe essere concettualizzata come riflesso di una maggiore capacità, piuttosto che di un deficit, anche se la distraibilità ha effetti potenzialmente dannosi nelle situazioni della vita reale.”[5]

Anche altre ricerche confermerebbero l’ipotesi che la percezione abbia delle capacità limitate ma, nonostante questo, tenda a elaborare in modo automatico tutti gli stimoli finché non si esaurisce, mentre un elevato interesse verso un argomento o un compito sarebbe da solo sufficiente a non lasciare spazio disponibile alla percezione di stimoli irrilevanti[6]. Detto in parole povere: se siamo interessati in qualcosa, non lasciamo al nostro cervello la possibilità di distrarsi.

Questa idea mi fa tornare in mente la teoria della sistematizzazione di Simon Baron-Cohen, che vedrebbe lo stile cognitivo autistico come particolarmente abile nella sistematizzazione, nel trovare, comprendere ed elaborare sistemi, e questo accadrebbe proprio a causa di una elevata attenzione verso i dettagli.

Ora, so benissimo che Baron-Cohen ha toppato un bel po’ di volte, soprattutto con la storia rivelatasi poi sbagliata che noi autistici non saremmo capaci di provare empatia, ma trovo plausibile la sua idea che “l’eccellente attenzione ai dettagli nelle condizioni dello spettro autistico è essa stessa una conseguenza dell’ipersensibilità sensoriale”[7]. Questa idea coinciderebbe con quella esposta in precedenza, e cioè che negli autistici la soglia per innescare la chiusura agli stimoli esterni (alle distrazioni) è estremamente più alta, traducendosi in una percezione sensoriale senza filtri che può essere messa a tacere solo quando il carico di interesse in un argomento è tale da esaurire la capacità del cervello di elaborare gli stimoli irrilevanti.

A prescindere dai motivi specifici alla base di queste caratteristiche, trovo necessario che soprattutto in determinati ambienti, come nella scuola e sul lavoro, si tenga conto di questo differente funzionamento dell’attenzione. Questo è importante sia perché può portare a trovare strategie che riescano ad aumentare la capacità di attenzione in determinate persone (come autistici, e ADHD) sfruttando la naturale propensione a evitare le distrazioni quando si è interessati in un argomento, sia perché proprio questa capacità è in grado di portare a stati di attenzione e concentrazione estremamente elevati.

Questa super attenzione, l’iperfocus, può essere una caratteristica estremamente utile tanto a livello accademico quanto lavorativo, eppure troppo spesso viene fraintesa e mortificata. Quante volte si sentono frasi come quelle con cui ho aperto l’articolo: è intelligente ma non si applica; studia solo quello che gli piace; quando fa qualcosa che lo interessa non c’è verso di attirare la sua attenzione…

Ogni volta, questa capacità di sfruttare un interesse particolare per raggiungere livelli di attenzione estremamente elevati riceve una mazzata, ci viene spiegato che non va bene fissarsi così su certe cose, che bisogna fare come gli altri, che dobbiamo aprirci, avere più interessi (che, spesso, significa non approfondire nulla).

E, come molte volte accade, mi domando come sarebbe stata la mia adolescenza se quell’interesse così forte per la musica non fosse stato visto come malato e, invece che ostacolato costantemente, fosse stato nutrito, aiutato e sostenuto.

NOTE:
[1] Smalley, S. L., Kustanovich, V., Minassian, S. L., Stone, J. L., Ogdie, M. N., McGough, J. J., … Nelson, S. F. (2002). Genetic Linkage of Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder on Chromosome 16p13, in a Region Implicated in Autism. The American Journal of Human Genetics, 71(4), 959–963. doi:10.1086/342732
[2]Corbett, B. A., Constantine, L. J., Hendren, R., Rocke, D., & Ozonoff, S. (2009). Examining executive functioning in children with autism spectrum disorder, attention deficit hyperactivity disorder and typical development. Psychiatry Research, 166(2-3), 210–222. doi:10.1016/j.psychres.2008.02.005
[3] James, W.A. (1890). The principles of psychology. New York: Dover.
[4] Lavie, N. (1995). Perceptual load as a necessary condition for selective attention. Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance, 21, 451–468.
[5] Remington, A., Swettenham, J., Campbell, R., & Coleman, M. (2009). Selective Attention and Perceptual Load in Autism Spectrum Disorder. Psychological Science, 20(11), 1388–1393. doi:10.1111/j.1467-9280.2009.02454.x
[6] Lavie, N. (2005). Distracted and confused?: Selective attention under load. Trends in Cognitive Sciences, 9, 75–82.
[7] Baron-Cohen, S., Ashwin, E., Ashwin, C., Tavassoli, T., & Chakrabarti, B. (2009). Talent in autism: hyper-systemizing, hyper-attention to detail and sensory hypersensitivity. Philosophical Transactions of the Royal Society B: Biological Sciences, 364(1522), 1377–1383. doi:10.1098/rstb.2008.0337

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