LA SEMIOTICA DI GUERRA E L’IMPORTANZA DI RIMANERE UMANI. E, di striscio, l’attenzione per gli autistici.

Questo articolo ha che fare con l’autismo solo in parte, perché quello della militarizzazione, della “sceriffizzazione” del linguaggio non solo a livello istituzionale ma anche comune, è un rischio concreto che riguarda tutti e in modo particolare quelle categorie e minoranze che manifestino necessità diverse dalla maggioranza.

Stare a casa in questo momento è un dovere sociale e morale, è ciò che ci permetterà di uscire prima di casa una volta superato questo momento così drammatico. È fondamentale per evitare il contagio massivo dell’intera popolazione, che risulterebbe nella morte certa di moltissime persone; è doveroso per evitare il collasso di un sistema sanitario già messo in ginocchio dalla politica degli ultimi decenni e che ora, in una situazione di emergenza mai vista, sta lavorando in modo ammirevole oltre i propri limiti.

Ma se evitare il contatto sociale è necessario, insultare la gente per farla rimanere a casa, peggio ancora quando a farlo è un rappresentante delle istituzioni, è pericolosissimo, oltre che moralmente inaccettabile. Nei momenti di crisi l’attenzione si focalizza solo su una priorità, dimenticando pericolosamente che si tratta di una situazione transitoria[1] e che, una volta risolto il problema principale, la vita tornerà a reclamare attenzione per ogni suo aspetto.

Stiamo assistendo a una svolta autoritaria che, per ora, si sta limitando al linguaggio (striscioni con insulti a chi esce, urla dai balconi, video delatori carichi di ingiurie sulle reti sociali ecc) e sta modificando il nostro modus pensandi, cosa che ovviamente avrà conseguenze nefaste sulle azioni che ne conseguiranno.

Quello delle ultime settimane sta diventando sempre di più un linguaggio di guerra. Ci siamo ritrovati a combattere contro un nemico invisibile, a dover lottare per sconfiggere un nemico comune. Siamo bombardati da messaggi in cui viene sottolineata costantemente l’eccezionalità della situazione, in cui la popolazione viene trattata in modo paternalistico, intimidita e colpevolizzata da figure istituzionali soprattutto locali, cosa che sta spingendo anche la gente comune a seguire l’esempio senza domandarsi che effetti questa semiotica di guerra[2] avrà sull’equilibrio della nostra società e sui nostri già così fragili e bersagliati diritti civili e individuali.

E cosa c’entra l’autismo con tutto questo discorso? C’entra perché in momenti di difficoltà collettiva, in cui la soluzione al problema è l’adozione di nuovi modelli comportamentali di massa, è doveroso fare ancora più attenzione a non schiacciare la diversità. C’entra perché in questa gara a chi urla più forte che bisogna stare a casa, in questo pullulare di video di poliziotti e comuni cittadini che umiliano altre persone per la strada, senza nemmeno domandarsi chi hanno davanti o perché quella persona si trovi lì, gli autistici possono avere problemi estremamente seri.

Cosa succede a quegli autistici, alcuni dei quali in totale isolamento e senza più supporti e aiuti, che hanno difficoltà a gestire i cambiamenti? A quelli che già in condizioni normali a malapena riescono ad andare a fare la spesa, quelli che soffrono di ansia sociale che sfocia in attacchi di panico e meltdown, e adesso sono terrorizzati di uscire anche per andare al supermercato, perché temono di essere visti, insultati, additati come untori e irresponsabili?

Quanto è preparato un agente di polizia municipale o un militare – che ora sono investiti di un potere quasi divino – a gestire una situazione di crisi autistica? Me lo domando perché, se fermi un autistico che è già in sull’orlo del precipizio a causa della situazione e sta andando a fare la spesa da solo e impaurito e lo tratti come un assassino, quello può esplodere e la cosa finirebbe malissimo. Cosa ne sanno gli altri, quelle persone tanto coraggiose che urlano dai balconi di casa, di quei casi in cui poi l’autismo “non si vede” a prima vista?

Per non parlare di quei sindaci che ormai fanno a gara a chi è più cattivo. Mettono in circolazione video in cui, a volte con un italiano che farebbe inorridire una maestra elementare, mostrano di non aver compreso la responsabilità istituzionale della quale sono investiti. Responsabilità che non riguarda solo far rispettare le ordinanze per salvaguardare la popolazione del virus, ma anche il modo in cui il rispetto di tali ordinanze viene richiesto ai propri concittadini (non sudditi, non stupidi). Le istituzioni devono dare il buon esempio, non possono permettersi di cadere nel trabocchetto della generalizzazione becera, hanno il dovere di mostrare fermezza verso i trasgressori ma sempre nel rispetto di tutti i cittadini.

Siamo passati in pochi giorni dall’idealismo di chi altruisticamente si dichiarava disposto ai più grandi sacrifici per salvare i più vulnerabili a un clima di processi sommari, gogne mediatiche e anche reali, rancore e intolleranza elargiti a man bassa che fanno pensare a una società fuori controllo, una sorta di tutti contro tutti ma a distanza di sicurezza.

Io sto tutto il giorno chiuso in casa, in una settimana mi è capitato di dover uscire due volte per fare la spesa, perché il mio frigorifero è piccolo, il congelatore minuscolo e il pane e le verdure devo comprarli ogni tre giorni. Durante quei pochi minuti necessari a comprare quello che mi serve mantengo la distanza di sicurezza, e appena in casa lavo immediatamente le mani e insomma, fino a un mese fa collaboravo con due ospedali e so come ci si deve proteggere e come proteggere gli altri. Io rispetto le regole, cosa che d’altra parte facevo anche prima dell’istituzione di questo stato di emergenza, eppure non mi sognerei mai di insultare o minacciare una persona che non conosco perché cammina per la strada o, in un determinato momento, manifesta un comportamento diverso da quello “richiesto” dalle regole.

Da appartenente a una minoranza (e pure più di una) ho trascorso una vita intera a essere osservato, guardato con sospetto, additato e minacciato, e di questo faccio tesoro. In momenti del genere cerco di fare ancora più attenzione, perché il virus passerà, ma io non voglio che col virus vada via anche la mia umanità, né che il dolore sofferto in passato sia stato vano.

Vorrei che la gente, comprensibilmente stressata dalla quarantena e preoccupata per l’incertezza del momento, non si facesse prendere dall’isteria e riflettesse molto bene sul fatto che ogni parola pensata, scritta o urlata, ogni gesto eseguito d’impulso, contribuiscono come singole gocce di pioggia a creare un’inondazione della quale pagheremo le conseguenze per molto tempo dopo la crisi da COVID-19.

Qui in Spagna il decreto di emergenza che il governo ha emanato per mettere tutti in quarantena non prevedeva dall’inizio la possibilità di fare sport all’aperto, forse perché avendo iniziato dopo rispetto all’Italia hanno visto che quella libertà sarebbe stata male interpretata (da parte di tutti, non solo degli ormai temutissimi “runner”). Eppure, in questo decreto tanto severo, è prevista una deroga per le persone disabili in cui rientrano gli autistici e coloro che hanno problemi comportamentali e comportamenti antisociali. A queste persone, laddove il confinamento in casa fosse causa di problemi, è permesso uscire con un accompagnatore per ridurre gli effetti negativi dell’isolamento. Ovviamente nei limiti consentiti dal decreto.

Una misura simile, da quello che ho potuto vedere, l’ha richiesta anche il dottor Leonardo Zoccante alla regione Veneto. Non si tratta di permettere a chiunque di andare in giro, di mischiarsi alla folla e mettere a repentaglio la salute della comunità ma di permettere a quegli individui, che per motivi giustificati da una specifica condizione neurologica non possono rimanere chiusi in casa, di alleggerire il trauma di un confinamento per loro a volte insostenibile.

E, con mia grande meraviglia, anche a questa richiesta sensata e motivata, ci sono state persone che hanno risposto in modo sgradevole e superficiale, mostrando una totale mancanza di quell’empatia di cui fino all’altro ieri si riempivano la bocca, una incapacità di valutare le situazioni per quelle che sono realmente e, soprattutto, di astenersi dal giudizio quando non si hanno elementi sufficienti per effettuare una valutazione.

Ci sono persone che non esiterebbero a fotografare o filmare una madre che accompagna il figlio autistico a fare un giro dopo una crisi, insultandole sulle reti sociali o urlando loro dal balcone senza sapere nulla di quella particolare situazione. E qui in Spagna, prevedendo il rischio della gogna pubblica, qualcuno ha addirittura suggerito agli autistici di indossare magliette blu per essere riconoscibili. Un rimedio che richiama in modo sinistro altri segnali di riconoscimento imposti ad alcune minoranze in passato.

Credo che questa clausura forzata dovrebbe insegnarci a non esprimere giudizi. Non ne abbiamo bisogno e, soprattutto, un giudizio espresso senza tener conto della particolarità di una situazione non solo è inutile, ma è anche dannoso. Cerchiamo di fare il nostro dovere rimanendo a casa, proviamo a mantenere la calma e ricordiamo che la delazione è un’arma a doppio taglio. Oggi siamo noi a gridare dalle finestre, a fare i video in cui insultiamo e umiliamo gente che non conosciamo solo perché “crediamo” che stia infrangendo la legge senza però averne la certezza. Oggi ci sentiamo tanto forti, dall’alto dei nostri balconi, ma domani potrebbe toccare a noi essere presi di mira per una nostra caratteristica, essere esclusi, insultati, giudicati ingiustamente.

Fate il favore, restate a casa, perché l’isolamento è doveroso e fondamentale per uscire da questa situazione terribile che sta mettendo in ginocchio intere comunità, e mentre rimanete a casa, oltre a preoccuparvi per la salute vostra e di chi vi sta intorno, preoccupatevi anche della salute della nostra società facendo attenzione al linguaggio che usate, ai giudizi gratuiti che emettete, a curare la gentilezza del vostro animo e del vostro pensiero perché questa emergenza finirà, e allora potremmo cominciare a pagare le conseguenze di tanta intolleranza, superficialità di giudizio e rancore.

Informatevi da canali ufficiali e non dai video e messaggi dell’amico del cugino di un amico che girano su Whatsapp e Facebook e, perché no, leggete un bel libro invece di trascorrere le giornate a spiare i vostri vicini, perché leggere fa bene, allarga gli orizzonti e rende liberi anche in momenti di isolamento come quello che stiamo vivendo.

NOTE:
[1] Il vocabolario Treccani, tra le varie definizioni della parola crisi dice anche: “ogni situazione, più o meno transitoria, di malessere e di disagio, che in determinati istituti, aspetti o manifestazioni della vita sociale, sia sintomo o conseguenza del maturarsi di profondi mutamenti organici o strutturali”. http://www.treccani.it/vocabolario/crisi/

[2] “semiotica di guerra: semio-guerra. Una virtualizzazione della guerra ne trasforma le dimensioni e lo stesso senso […] lo stesso ricorso alla forza diviene ora soltanto una delle possibili opzioni, all’interno di un campo di manovre strategico che comprende anche “armi semiotiche” come quelle della minaccia, della dissuasione, della manipolazione, della sanzione. […] se proviamo a definire meglio queste armi semiotiche, vediamo che esse concernono soprattutto il campo, non dell’agire in senso stretto, ma della trasformazione e deviazione di questo agire: dallo “spingere a fare o a non fare” (manipolazione) all’”impedire di fare” (dissuasione), all’”obbligare a fare” (costrizione), alla seduzione (intesa come un “mostrare di essere in un certo modo, affinché l’altro faccia qualcosa”), e così via.” da: Fabbri, O. (2007). Le forme nuove del warfare e la circolazione di modelli fra semiotica, strategica e letteratura spionistica. Da: Conflitti. Strategie di rappresentazione della guerra nella cultura contemporanea. Roma . Meltemi editore. pp. 249-259.

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